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15/03/2020 ore 17.36
Attualita

«Detenuti ai domiciliari, la vita viene prima di tutto»

Mettere ai domiciliari i detenuti per proteggerli dal coronavirus. È questa la richiesta della Camera penale di Cosenza al direttore del carcere di Vaglio Lise, al presidente del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro e ai magistrati che si occupano della stessa materia a Cosenza. L’annoso problema del sovraffollamento delle carceri italiane, infatti, con l’epidemia in
di Camillo Giuliani

Mettere ai domiciliari i detenuti per proteggerli dal coronavirus. È questa la richiesta della Camera penale di Cosenza al direttore del carcere di Vaglio Lise, al presidente del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro e ai magistrati che si occupano della stessa materia a Cosenza. L’annoso problema del sovraffollamento delle carceri italiane, infatti, con l’epidemia in corso si è aggravato e i detenuti sono esseri umani, come chi è in libertà. E allora può mai prevalere il timore per la sicurezza sociale sulla tutela delle vite? La risposta è no e la Camera penale – nella lettera firmata da Guido Siciliano e Pietro Perugini, segretario e presidente della sezione bruzia – lo ribadisce a gran voce. Già nei giorni scorsi, infatti, la Giunta nazionale aveva paventato «danni irreparabili ai detenuti, al personale carcerario e a tutti coloro che per lavoro o per necessità frequentano le carceri».

Troppi detenuti in ogni cella, impossibile evitare contagi

Il monitoraggio delle prigioni calabresi ha evidenziato la necessità della «immediata e non più rinviabile applicazione di misure alternative», quali appunto gli arresti domiciliari. I rischi per la salute dei detenuti sono elevatissimi. Esposti al contagio per i contatti continui col personale che entra ed esce dagli istituti penitenziari, si ritrovano a vivere in celle sovraffollate. E anche solo ipotizzare di poter mantenere le distanze di sicurezza tra le persone in una situazione simile è una chimera.

La casa circondariale di Cosenza, ad esempio, dovrebbe ospitare al massimo 218 persone, ma dietro le sbarre ce ne sono 260. Una situazione già disumana, dunque, che l’epidemia in corso rende pericolosissima. Il ricorso agli arresti domiciliari per le fasce di criminalità medie e basse, potrebbe invece scongiurare un disastro irreparabile. Serve dunque una risposta immediata, scrivono Perugini e Siciliano, da parte della magistratura di sorveglianza, «chiamata a tutelare concretamente il costituzionale diritto alla salute dei detenuti».