Cosenza Calcio 1914, venti anni fa una grande ingiustizia bucò il pallone dei Lupi
Venti anni fa come oggi. Il 31 luglio 2003 il Consiglio federale della Figc stabilì che il glorioso Cosenza Calcio 1914 non doveva disputare alcun torneo professionistico. Dopo una serie di vicissitudini e di ricorsi presentati dal club, fu bucato il pallone ai tifosi rossoblù che ripartirono disgraziatamente dalla Serie D.
Paolo Fabiano Pagliuso, il patron, era impegnato a difendere la sua persona da imputazioni da cui poi venne assolto. A marzo fu arrestato insieme ad altre tredici persone con l’accusa di associazione per delinquere ed estorsione aggravata con modalità mafiose. Gli inquirenti avevano ipotizzato l’esistenza di forti collusioni della criminalità organizzata nel settore calcistico. Anche il Cosenza Calcio 1914 SpA finì sotto sequestro. Quel giorno, caldissimo, di luglio a versare lacrime insieme al resto del popolo dei Lupi fu il compianto avvocato Peppino Mazzotta, che tentò in ogni modo di garantire continuità.
Da Roma posero cavalli di Frisia sul percorso lungo 90 anni della società. Alzarono il ponte levatoio e lasciarono fuori i sogni dei tifosi. Il castello della Figc non subì alcun assalto e Franco Carraro blindò le proprie determinazioni. Nonostante la Serie B lievitò a 24 squadre, non ci fu posto per Gigi Lentini che decise di restare ugualmente al San Vito con quella fascia tatuata sul braccio destro. I ritardi e i vizi di forma con cui fu compilata l’iscrizione alla Serie C, campionato di appartenenza sancito dalla retrocessione sul campo a maggio, risultarono alla lunga decisivi. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso dissero dalle camere dei bottoni. Senza alcun nesso logico a goderne fu la Florentia Viola, l’attuale Fiorentina che appena dodici mesi prima era stata rifondata in Serie C2 dai fratelli Della Valle. Uno smacco simile la città non l’aveva mai subito.
Il 31 luglio 2003 è la data in cui un’intera generazione di ragazzi sbatté il muso contro la realtà. Niente più sogni adolescenziali di vedere Del Piero e Totti un giorno trotterellare sotto la Curva Sud. Ma campi in terra battuta, carneadi come avversari e sperdute stazioni del Meridione quali uniche destinazioni domenicali. Dal Luigi Ferraris di Genova i supporter dei Lupi furono catapultati come un pacco di Amazon al Campo Italia di Sapri. Il perché e il come, tuttavia, lo sapevano benissimo. O, almeno, credevano di saperlo.
La maggioranza della tifoseria chiese all’allora sindaco Eva Catizone di rifondare il calcio in città ponendo tre condizioni: i colori rossoblù, un lupo come simbolo e che non ci fosse nessun legame con la presidenza Pagliuso. La categoria non fu ritenuta da molti importante. Nacque una contrapposizione tra gli allora Ds di Nicola Adamo, che sosteneva l’amministrazione comunale, e i rappresentanti di Forza Italia Jole Santelli e Tonino Gentile. Il “successo” politico dei primi fu la Serie D, 12mila spettatori alla prima in campionato con una curva stracolma dietro lo striscione “Meglio liberi all’inferno che schiavi in Paradiso”. Alla luce dei fatti, quel progetto sportivo targato Gea fu un disastro epocale che ridusse ai minimi termini le presenze in casa e in trasferta.
Nessuno venti anni fa, tuttavia, poteva immaginare cosa sarebbe accaduto dopo e tantomeno l’esito del processo in cui fu implicato Paolo Fabiano Pagliuso. Nel marzo del 2004 una sentenza del Tar boccio tre ricorsi su quattro del Cosenza 1914, ma ne affermò il diritto all’affiliazione alla Figc. Un barlume di speranza per alcuni, nuovo motivo di fastidio per Carraro che riteneva di aver messo una pietra sopra alla cosa, tanto che la Figc si costituì addirittura come parte civile nel processo contro Pagliuso.
Il 2 luglio del 2004 il Televideo giocò un atroce scherzo del destino ai tifosi del Cosenza: parlò di riammissione in Serie B quando invece dal Consiglio di Stato non erano arrivate aperture, ma solo bocciature. L’informazione non viaggiava ancora sul web e tutte le fonti, nonostante continui strafalcioni, erano prese per buone senza la possibilità di verificare il contrario nell’immediato. A fine luglio lo stop definitivo, che non cancellò però quella scritta che un anno prima era apparsa all’esterno della Curva Nord: “Non smetteremo mai di amare questi colori e questa città”. Firmato la tifoseria.