Derby Catanzaro-Cosenza, la leggenda Aita: «Al ritorno spero che Tutino prenda il mio posto»
Mancano soltanto poche ore al derby di serie B tra il Cosenza e il Catanzaro, ma l’aria è già rovente. Le tifoserie si infiammano e le statistiche di questi giorni provano a raccontare una storia lunga quasi cento anni fatta di gioie e sconfitte, record e drammi, ma, soprattutto, tanta, tanta rivalità. Ed ognuna di queste pagine di sport ha un nome e un cognome.
Una delle più belle è quella del 6 aprile 1985, finita sui libri di storia grazie a un calcio sinistro tirato da un allora 25enne Alberto Aita, centrocampista del Cosenza. «Quel gol mi ha cambiato la vita», dice quando lo incontriamo in un pomeriggio soleggiato di novembre. L’ha cambiata anche ai migliaia di tifosi che a distanza di trentotto anni ancora lo celebrano come una divinità. L’ultima volta è successo domenica scorsa. Un uomo dal cuore rossoblù l’ha riconosciuto all’interno di un locale e gli si è avvicinato, sopraffatto dall’emozione. Ma chi è Alberto Aita e perché negli ambienti è noto come “re del derby“? Quel giorno di trentotto anni fa la gara si disputò in casa dei Lupi, allo stadio San Vito.
Il Catanzaro lottava per la serie B, mentre i padroni di casa, che avevano tenuto testa per tutto il campionato, erano già fuori dalla zona play-off, ma non avevano nessuna intenzione di regalare la vittoria ai rivali. Al 38esimo minuto, Aita sfidò gli agguerriti avversari e centrò la porta, portando la squadra in vantaggio. Quel gol regalò l’ultima vittoria in casa al Cosenza in un derby contro il Catanzaro.
Chi Alberto Aita
Alberto Aita è nasce a Cetraro il 15 gennaio 1960. Comincia a giocare a calcio giovanissimo, arrivando a militare in serie B. Al Cosenza arriva nel 1978, quando la squadra è ancora nel campionato semiprofessionistico di serie D, e vi rimane fino al 1985, fatta eccezione per l’anno 1983, durante il quale veste la maglia del Pescara. Nei sette anni in cui indossa la divisa rossoblù, Aita gioca al fianco di altre leggende del calcio calabrese, come Gigi Marulla, a cui molti anni dopo verrà intitolato lo stadio, e Donato Bergamini, per tutti Denis, passato alla storia non soltanto per le gesta sportive.
L’ex ragazzo prodigio morì a soli 27 anni, nel 1989, in circostanze misteriose ancora oggi al vaglio degli inquirenti e i suoi ex compagni di squadra, insieme alla tifoseria dei Lupi, non hanno mai smesso di chiedere verità, tanto che 2017 la società di via degli Stadi ritira la maglia numero 8 per sostenere i famigliari dell’ex centrocampista, impegnati in una lunga battaglia giudiziaria volta a fare luce sulla tragica scomparsa.
Aita ne conserva un dolce ricordo. «Bergamini è stato un ragazzo eccezionale. A parte le doti tecniche, aveva una grande umanità. Ha lasciato un grande ricordo in tutti noi, è stato veramente un peccato perderlo. Viene ricordato con grande affetto da tutti». Oggi Aita allena la squadra di calcio Digiesse Praia Tortora, che nel campionato scorso, sotto la sua direzione, ha stravinto il campionato di Promozione e oggi milita in quello di Eccellenza.
“Soltanto” trentotto anni
Il ricordo di quel giorno, quel sabato 6 aprile 1985, non si è ancora sbiadito. Il mito di Aita, ribattezzato “re del derby” è più vivo che mai. «L’ultimo episodio è stato domenica scorsa – dice mister Aita, con gli occhi lucidi -. Siamo andati a giocare fuori casa e al ristorante mi ha riconosciuto un tifoso. Si è avvicinato, emozionatissimo, solo per raccontarmi come si era svolta l’azione del mio gol. Ricordava più particolari di me». Quel giorno per i tifosi diventò indimenticabile per tanti motivi. Lo stadio San Vito era una bolgia infernale. I padroni di casa, guidati da Vincenzo Montefusco, furono sostenuti da una scenografia da far invidia al resto d’Italia: gli ultrà della curva B, capitanati da un giovane Piero Romeo, sventolarono oltre milleduecento metri di stoffa rossoblù, cucita con materiali fatti arrivare appositamente da Firenze per gridare tutto l’amore per la città e per quei ragazzi in pantaloncini corti che cercavano di riscattarla.
L’agonia dei Lupi durò 38 minuti. L’allora 25enne Alberto Aita calciò il pallone in porta con tutta la forza che aveva in corpo, anche se usò il piede sinistro, e innanzi a quella fame di vittoria il portiere avversario non poté nulla. Il Cosenza passò in vantaggio. Un boato squarciò il cielo e fece tremare lo stadio al pari di una scossa tellurica. Sotto l’immensa bandiera rossoblù i tifosi si abbracciarono e piansero lacrime di gioia, non sapendo ancora di essere appena stati testimoni di una delle più belle pagine del calcio calabrese. Quel giorno il match finì così, 1-0 per il Cosenza, che guadagnò l’ultima vittoria in casa contro il Catanzaro.
Sale la febbre da derby
Domenica prossima le due squadre si sfideranno a Catanzaro per la venticinquesima volta. La partita si svolgerà allo stadio Ceravolo di Catanzaro e comincerà alle 16:15 in punto. Aita non sbilancia in pronostici, ma fa il tifo sfegatato per i Lupi e spera che, al netto dei freddi numeri e delle statistiche sfavorevoli, i ragazzi di mister Fabio Caserta compiano l’impresa di battere i giallorossi in casa loro. E per quanto riguarda il suo record personale, ha le idee chiarissime: dopo trentotto anni è tempo di cedere lo scettro. «Nella gara di ritorno – dice – sperò che questo tabù venga infranto. Spero che a farlo sia qualche giovane, faccio un nome così, a caso, Tutino, a prendere il mio posto. I tifosi lo meritano, aspettano questo giorno da troppo tempo». E gli occhi tornano lucidi.