Adolfo Foggetti, stop dalla Cassazione: rigettato il ricorso sulla continuazione dei reati
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Adolfo Foggetti. L’ex reggente del clan Rango-Zingari, oggi collaboratore di giustizia, aveva richiesto il riconoscimento della continuazione tra i reati commessi in due distinti periodi, ma il Tribunale di Catanzaro, in sede di rinvio, ha negato l’istanza. L’ordinanza conferma le condanne precedenti, sottolineando l’assenza di un piano criminale unico che potesse giustificare la richiesta di revisione.
Il ruolo di Adolfo Foggetti nel clan Rango-Zingari
Adolfo Foggetti, affiliato al clan “Bruni-Zingari” poi noto come Rango-Zingari, è stato coinvolto in numerosi reati tra il 2012 e il 2014. Durante quel periodo, Adolfo Foggetti ricopriva il ruolo di reggente nella città di Paola, sul Tirreno cosentino. Tra i crimini più gravi attribuiti a Foggetti figurano l’omicidio di Luca Bruni, commesso in concorso con Daniele Lamanna e Franco Bruzzese, estorsioni e traffico di droga, inquadrati nel contesto di una associazione mafiosa di stampo ‘ndranghetistico.
Il ricorso alla Cassazione
Foggetti aveva chiesto il riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati in tre sentenze:
- sentenza del tribunale di Bari (2007): Associazione per delinquere e rapine armate commesse tra il 2004 e il 2005.
- sentenza del tribunale di Catanzaro (2016): Omicidio, occultamento di cadavere, estorsioni aggravate, traffico di droga e associazione mafiosa, risalenti al 2012-2015.
- sentenza del tribunale di Catanzaro (2020): Due episodi di tentata estorsione tra il 2013 e il 2014.
L’obiettivo del ricorso era unificare i reati sotto un unico disegno criminoso, che avrebbe comportato una riduzione complessiva della pena. Tuttavia, la Cassazione ha confermato il rigetto delle richieste.
Ricorso di Adolfo Foggetti, le motivazioni della decisione
Il Tribunale di Catanzaro ha evidenziato che i reati commessi da Foggetti nel periodo 2004-2005 erano eterogenei rispetto a quelli successivi. La Corte ha sottolineato che gli episodi risalenti al 2004-2005 risultano distanti dagli eventi del 2012-2015; le rapine armate e l’associazione per delinquere del 2005 si differenziano per natura dai delitti mafiosi successivi, quali omicidio ed estorsioni; non è emersa una pianificazione comune tra i crimini antecedenti e quelli più recenti, requisito essenziale per riconoscere la continuazione.
Il procuratore generale ha inoltre sottolineato che «il giudice deve verificare puntualmente che i reati siano stati programmati al momento dell’ingresso nel sodalizio mafioso». Secondo la giurisprudenza, tale legame non è stato dimostrato nel caso di Foggetti.
Le argomentazioni della difesa
L’avvocato di Adolfo Foggetti ha contestato la decisione, sostenendo che il Tribunale non avrebbe valutato correttamente alcuni documenti, tra cui una sentenza non definitiva del 2020, che riconosceva il vincolo di continuazione per reati simili commessi da un altro affiliato del clan; le dichiarazioni rese dallo stesso Foggetti e da un collaboratore di giustizia, Franco Bruzzese, che collegavano i reati antecedenti al 2012 al sodalizio mafioso.
La Corte, tuttavia, ha respinto queste argomentazioni, ritenendo che non dimostrassero un legame sufficientemente diretto tra i crimini.