Cosenza, il "tesoro" croato nascosto dalla 'ndrangheta in via Popilia
Trecento milioni di dinari croati nascosti nel sottotetto di una palazzina popolare in via Popilia. Un ritrovamento effettuato dalla polizia l’11 settembre del 2019 che sembrava il preludio a una più ampia indagine sul riciclaggio di valuta estera fuori corso. Da allora, però, poco o nulla in più si è saputo su quel tesoretto di proprietà della criminalità organizzata. Quattro anni dopo, infatti, l’unica certezza è che quelle mazzette di banconote fossero nella disponibilità di qualche clan locale.
Quel giorno, gli agenti arrivano all’Ultimo lotto per eseguire una perquisizione a carico di Salvatore “Sasà” Ariello e nello spazio condominiale del suo palazzo rinvengono circa duecento pallottole, una pistola, due parrucche, una paletta di segnalazione stradale priva di contrassegni, un kit di pulizia delle armi e, dulcis in fundo, i tre pacchi di dinari, valuta ufficiale della Croazia dal dicembre del 1991 al maggio del 1994, poi rimpiazzata dalla Kuna e, in tempi più recenti, dall’Euro.
Banconote fuori corso da quasi trent’anni, dunque, ma che – la cronaca insegna – continuano a circolare su circuiti finanziari occulti. L’interesse delle organizzazioni criminali, infatti, è quello di convertire in euro questa di massa di denaro, ovviamente ottenuta in modo illecito. Proprio il business del riciclaggio di dinari croati è stato oggetto, in un recente passato, di un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha svelato un traffico di questo tipo in mano alle cosche di Sinopoli.
In tempi più recenti, inoltre, pare che un grosso quantitativo di valuta proveniente sempre dall’ex Jugoslavia sia stata sequestrata a Cassano, durante le perquisizioni operate nell’ambito dell’indagine “Athena”. Non è chiaro attraverso quale canale intendessero riciclare quei soldi, ma è probabile che i trecento milioni trovati in piazza Gervasi dovessero seguire lo stesso percorso.
Attualizzare il valore di quel carico di banconote è impresa ardua, ma considerato il cambio fra dinaro e kuna – 1 a 1000 – viene fuori una cifra compresa fra trenta e quarantamila euro. Un guadagno niente male, dunque, nel contesto di un affare dai contorni molto più ampi.
All’epoca, poco o nulla di quella merce scottante – solo quattro pallottole –venne attribuita ad Ariello, dal momento che il luogo di custodia era di pertinenza condominiale. I documenti di quell’attività investigativa, comunque, sono ora confluiti negli atti dell’operazione “Reset”. La partita, insomma, è sempre aperta. E i misteri ancora irrisolti.