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13/07/2023 ore 08.30
Cronaca

Cosenza, la caccia al killer di Lisa Gabriele fallisce all'ultimo microchip

Neanche i migliori specialisti d'Italia sono riusciti a rimettere in funzione il cellulare della ragazza, ecco come hanno provato a a riaprirlo dopo 18 anni
di Marco Cribari

L’ultimo tentativo di rimettere in funzione il telefonino di Lisa Gabriele è caduto nel vuoto. Il processo a carico dell’ex poliziotto Maurizio Mirko Abate, sotto accusa per omicidio volontario, riprenderà dunque da dove era stato interrotto, senza novità aggiuntive. Qualunque sia l’esito – la Procura ha chiesto per lui 14 anni di carcere – una sola cosa è certa: la verità sulla misteriosa morte della ragazza di Rose, datata 7 gennaio 2005, non passerà dalle informazioni contenute in quell’apparecchio ormai vetusto e spento ormai da ben diciotto anni.

Eppure, a cimentarsi nell’impresa, lo scorso 29 giugno, erano stati due assi come Salvatore Filograno e Paolo Reale, circostanza che lasciava ben sperare in un epilogo positivo dell’accertamento. Prima di loro ci avevano già provato gli specialisti in divisa del Racis di Roma, ma dopo il loro fallimento, per non lasciare nulla di intentato, il giudice dell’udienza preliminare – il processo contro Abate si celebra in abbreviato – si era rivolto a due fra i massimi esperti di informatica forense e recupero dati presenti in Italia. Neanche loro, però, sono riusciti a riaprire il vecchio Nokia 8310 della povera Lisa, il che vale da monito e anche da conferma: ci sono segreti destinati a rimanere tali per sempre. E che nemmeno la tecnologia è in grado di violare. Ciò che resta agli atti, dunque, è solo la cronaca dell’ultimo e disperato tentativo di cercare l’assassino tra le pieghe di un transistor e di un microchip. È lì che si nasconde da quasi diciott’anni?      

Le persone che il 29 giugno si danno convegno nel laboratorio pugliese di Filograno sembrano lì per assistere a un esame autoptico. Sul tavolo davanti a loro, c’è il telefonino di Lisa, ma un po’ è come se ci fosse lei. A differenza dei medici legali, però, il compito dei tecnici non è solo quello di sezionare, ma di riportare in vita. In quel cellulare, infatti, potrebbe esserci una traccia – una telefonata, un sms – in grado di smascherare l’assassino. Con Reale e Filograno c’è il loro ausiliario Fabrizio La Marmora. Il luogotenente Danilo Sidoti è lì in rappresentanza del pm Antonio Bruno Tridico e l’avvocato Annunziata Paese per conto dei familiari di Lisa Gabriele. Gli avvocati di Abate, Marco Facciolla e Francesco Muscatello, sono invece spalleggiati dal loro consulente di fiducia, Angelo La Marca.

I tecnici estraggono delicatamente la memoria del cellulare e ripuliscono i contatti dalle tracce di stagno, poi rimuovono lo strato di copertura, utilizzando uno strumento con una punta in fibra di vetro. Affiora alla luce il primo strato sottostante la copertura. Su uno dei cosiddetti piedini, il terzo, è stato rilevato un corto circuito. Potrebbe essere quello a impedire l’accensione dell’apparecchio. Filograno taglia la pista corrispondente, poi riconnette la memoria con la scheda madre del cellulare.

Per evitare altri possibili corto circuiti, il collegamento viene effettuato con dei fili di rame cerato. A quel punto, la scheda viene ricollegata con il display e la batteria. È il momento della verità, il primo: ma il cellulare non dà segni di vita.  La stessa operazione viene effettuata con l’alimentatore, ma il risultato è lo stesso. I tecnici tirano fuori una termocamera, serve a controllare la corretta alimentazione e il funzionamento della scheda. Sia la memoria che la scheda risultano essere alimentate.

Uno dei contatti è dissaldato, si provvede a sistemarlo e si trattiene il fiato prima di un nuovo tentativo di accensione che va di nuovo a vuoto.  Ufed Cellebrite è il nome di un programma di acquisizione forense. Si passa a quello, con un tentativo di collegamento diretto al pc, ma il cellulare non viene rilevato né si riesce a instaurare una connessione. E allora si procede con la rimozione del secondo strato di protezione del chip di memoria. Si ripetono tutte le operazioni eseguite in precedenza, ma il fallimento si ripete su tutta la linea.  Anche il ritorno ad Ufed, il software, non porta novità di rilievo. A quel punto, gli specialisti convengono che il telefono di Lisa Gabriele non può essere riaperto. Nel referto conclusivo scrivono che «il corto circuito è a livello della memoria». Forse, a livello dell’intera indagine.