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15/07/2023 ore 18.13
Cronaca

Cosenza, la Dda stringe il cerchio attorno agli "infedeli" in divisa

Dopo l'arresto dei tre finanzieri s'indaga su altre persone che potrebbero aver effettuato accessi non autorizzati ai database delle forze dell'ordine
di Marco Cribari

Quello dei tre finanzieri cosentini che spiavano le informazioni riservate dei contribuenti per ragioni tutt’altro che investigative non sarebbe un caso isolato. Accedere abusivamente alle banche dati delle forze dell’ordine, infatti, pare fosse un passatempo comune ad altri loro colleghi in divisa. Di certo c’è che l’argomento è ora centrale in un’indagine condotta in tutto il distretto e in particolare nella provincia di Cosenza dalla Procura di Catanzaro, competente in tema di reati informatici. E il risultato è altri carabinieri, poliziotti e finanzieri sono chiamati a giustificarsi davanti ai loro superiori (o ai magistrati) per una serie di «attività di polizia giudiziaria» su cui grava il sospetto dell’arbitrarietà.

Ognuno di loro ha accesso ai database con una password personale, quindi lascia di volta in volta una traccia del proprio passaggio. Niente a che vedere con gli standard raggiunti dai tre finanzieri cosentini arrestati nei giorni scorsi – quasi centottantamila ingressi abusivi in tre anni – che, però, avrebbero acquisito in modo illegittimo i dati previdenziali dei cittadini a scopo commerciale, per rivenderli a una società di business information. Gli accertamenti in corso in queste ore, invece, mirano a escludere o acclarare un utilizzo ben diverso che altri potrebbero aver fatto delle informazioni riservate dei loro uffici: parliamo ovviamente delle famigerate fughe di notizie. E in questo caso, anche poche decine di collegamenti non autorizzati al solito possono fare la differenza.

Non a caso, è un dubbio ricorrente che alcuni esponenti delle organizzazioni criminali siano informati in anticipo sui contenuti delle indagini sul loro conto e sulla tempistica delle operazioni di polizia. L’inchiesta “Reset” non fa eccezione alla regola. Non solo perché fra i capitoli ancora in sospeso, c’è quello sui presunti infedeli in divisa, almeno sei, sospettati di aver passato notizie riservate a boss e affiliati. A rinforzare i sospetti in questa direzione, ci sono anche intercettazioni e rivelazioni di collaboratori di giustizia.

Uno che a quanto pare avrebbe goduto di ottime entrature con gli ambienti delle forze dell’ordine è Roberto Porcaro che, a sentire una meteora del pentitismo come Danilo Turboli, non poteva contare solo su sussurri e soffiate, ma addirittura su documenti top secret che gli venivano forniti su supporti digitali. Fra gli episodi più disturbanti citati da Turboli c’è quello relativo all’omicidio di Giuseppe Ruffolo, o meglio a un suo possibile preludio.

In quel caso, infatti, Porcaro sarebbe venuto a sapere di un certo malanimo che la futura vittima nutriva nei suoi confronti leggendo proprio il contenuto di un’intercettazione che lo riguardava. Non è chiaro quale, ma di certo c’è prima di essere ucciso, a settembre del 2011, Ruffolo era sotto inchiesta perché ritenuto coinvolto in un giro di usura. Quell’indagine è stata poi archiviata dopo la sua morte e il suo contenuto è rimasto dunque segreto. L’intercettazione visionata da Porcaro proveniva da quel fascicolo? E chi gliel’aveva fornita? È anche a causa di particolari così allarmanti che l’ufficio di Nicola Gratteri ha deciso di prendere di petto la situazione, andando a caccia di eventuali spie che si annidano in caserme e commissariati. Staremo a vedere.