Cosenza, le risse nei locali notturni commissionate dalla 'ndrangheta
«La cosca Lanzino usava far scoppiare delle risse nei locali notturni di Cosenza e Rende e per far sì che non si ripetessero più queste liti nei locali imponeva di rivolgersi alle società che offrivano servizi di vigilanza, società che venivano dagli appartenenti dei clan». A descrivere questo quadro a tinte fosche è il collaboratore di giustizia Giuseppe Montemurro, 44 anni, che prima di cambiare vita, nel 2015, era impelagato mani e piedi proprio nel business della guardiania per conto di quella che, all’epoca, era la “Nuova famiglia” della ‘ndrangheta cosentina.
Sentito nel 2019, il pentito descrive lo stato dell’arte criminale di qualche anno prima, quando il settore era equamente diviso fra italiani e zingari. Uno scenario destinato a mutare dopo il blitz antimafia del 2014. A partire da quella data, infatti, l’affare discoteche e dintorni diventerà monopolio dei primi e, stando alle ultime dichiarazioni del pentito Ivan Barone, solo di recente l’altro gruppo tenterà di reinserirsi nel discorso.
Questa, però, è un altro capitolo di una storia che non nasce con Montemurro, ma che affonda le radici nel tempo. L’interesse della ‘ndrangheta nel campo dell’intrattenimento notturno è sempre stato vivo. Già negli anni Ottanta, Giuseppe Vitelli, sicario fra i più efferati in circolazione, era contitolare della discoteca “Akropolis” di Rende e alla fine di quel decennio aveva allargato il proprio raggio imprenditoriale cercando di mettere le mani su altri locali notturni della città.
Anche in quel caso, collaboratori di giustizia più stagionati di Montemurro, ricordano che la tecnica di pressione da lui utilizzata era la stessa: inviare i suoi scagnozzi a seminare il panico tra tavolini e banconi, terrorizzando gli avventori. L’obiettivo di “Peppino”, però, non era quello di imporre la guardiania, ma di rilevare del tutto quelle attività.