Cosenza, si oppone all'arresto «pretestuoso» e il giudice gli dà ragione
Due poliziotti lo arrestano e lui rivolge loro ingiurie e parole minacciose, preludio alla sua incriminazione per resistenza a pubblico ufficiale. Tempo mezza giornata, però, e il cosentino Manuel Arno, 24 anni, verrà assolto da quell’accusa innescata da una condotta, la sua, ritenuta «non punibile» dal giudice Francesca De Vuono. Quest’ultima, infatti, si è richiamata a una sentenza della Cassazione risalente al 2019 che legittima ogni cittadino a reagire davanti a «un’aggressione arbitraria dei propri diritti».
E’ quello che si sarebbe verificato la sera del 27 dicembre in via Rubens Santoro. Durante un normale giro di perlustrazione nel rione San Vito, i poliziotti notano Arno procedere a piedi e si avvicinano a lui con l’intenzione di controllarlo. L’uomo prova a infilarsi in una traversina per evitare l’incontro ravvicinato con la Volante, ma gli agenti riescono a raggiungerlo e gli chiedono di mostrar loro i documenti. «Cercate di non fare sceneggiate – si oppone Arno – mi conoscete, non ho niente addosso».
Lo perquisiscono senza trovargli addosso qualcosa di compromettente, ma l’uomo rifiuta di farsi identificare e per tutta risposta i poliziotti lo portano in Questura per una seduta di fotosegnalamento. «State facendo un abuso» protesta il diretto interessato prima di lanciarsi in un’invettiva contro i due poliziotti. «Le vostre foto io ce l’ho qui in testa», «Stasera vi faccio ricordare la serata», «Appena esco da qua, scappatevene da Cosenza, vi conviene proprio» sono alcuni dei pensieri bellicosi che rivolge loro in preda alla rabbia.
E non finisce qua. A quel punto, i poliziotti decidono di spedirlo agli arresti domiciliari in attesa del processo per direttissima. «Pisciaturi – li apostrofa il ventiquattrenne – toglietemi le mani di dosso che cammino da solo». Gli animi si surriscaldano, parte qualche strattone, finché gli uomini in divisa gli stringono le manette ai polsi e lo accompagnano a casa. Il giorno successivo, però, la vicenda approda in aula. E la musica cambia.
Il giudice, infatti, assolve l’imputato perché «il fatto non costituisce reato», ma prima non convalida il suo arresto – che la Procura chiedeva di commutare in obbligo di firma – con una motivazione molto chiara. Sulla mancata identificazione, la De Vuono rileva che gli operatori di polizia «già conoscevano Arno di persona» e poi dà atto di come il viaggio in caserma e l’arresto, a fronte di una perquisizione dall’esito negativo, siano state percepite dal diretto interessato come «pretestuose», alla stregua «di un abuso».
Da qui la decisione di assolverlo su tutta la linea, così come richiesto dal suo difensore Michele Franzese. La pubblica accusa, invece, aveva invocato per lui la condanna a sei mesi di reclusione.