Dalle faide di mafia al “Sistema confederato”: quarant’anni di ‘ndrangheta a Cosenza
Le motivazioni della sentenza Reset ripercorrono la genesi dei clan cosentini: dalla guerra tra Perna-Pranno e Pino-Sena alla fusione tra le cosche, fino alla nascita dell’associazione unitaria raccontata al capo 1 dell’imputazione
Nel processo abbreviato Reset, che fotografa lo scenario attuale della ‘ndrangheta a Cosenza, il giudice Fabiana Giacchetti parte da lontano. Per comprendere l’evoluzione del cosiddetto “Sistema”, è infatti necessario ricostruire «le vicende giudiziarie pregresse che hanno riguardato le articolazioni di ‘ndrangheta operanti nei territori della città di Cosenza e relativo hinterland». Un lungo percorso processuale, costellato di condanne, pentimenti eccellenti e operazioni antimafia che hanno contribuito a definire l’identità criminale dell’area.
Il processo Garden
Il punto di partenza è rappresentato dal noto processo “Garden”, celebrato a partire dagli anni ‘90, che per la prima volta certificava «la nascita dei sodalizi, tra loro contrapposti, ‘Perna-Pranno’ e ‘Pino-Sena’». Le sentenze della Corte d’Assise di Cosenza (9 giugno 1997) e della Corte d’Appello di Catanzaro (13 marzo 1999) avevano accertato l’esistenza di due distinte associazioni mafiose che, tra gli anni Settanta e Novanta, si fronteggiavano per il controllo del territorio e delle attività illecite.
Secondo la sentenza, «i partecipanti ai predetti sodalizi ebbero la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, largamente adoperate per la commissione di numerosissimi delitti», nel pieno di quella che viene definita «la prima guerra di mafia», databile tra il 1978 e il 1986.
Franco Perna vs Franco Pino
Da un lato Franco Perna, padre di Marco Perna, insieme ai fratelli Pranno; dall’altro Franco Pino, che poteva contare sulla fedeltà di Ettore Lanzino, Francesco Patitucci, Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni – tutti imputati anche nel processo Reset. Dopo anni di sangue e faide interne, i due gruppi arrivarono a una tregua. «Si ricompattavano – pur non mancando alcune frizioni interne – concentrandosi sugli affari», in particolare «i grandi appalti pubblici che si profilavano già all’orizzonte».
Un passaggio epocale, destinato a ridefinire i rapporti di forza. Seguiva infatti l’epoca delle collaborazioni, tra cui quella dello stesso Franco Pino e di Umile Arturi, all’epoca ritenuto il numero due della cosca.
Secondo quanto emerge dalla sentenza Reset, la consorteria “Pino-Sena-Ruà” risultava ancora operativa almeno fino al 22 aprile 1994. Tra i suoi vertici figuravano, oltre a Ruà, «Gianfranco Bruni, Ettore Lanzino, Rinaldo Gentile, Domenico Cicero e Francesco Patitucci».
Da Terminator IV al processo Reset
Il processo “Terminator IV”, conclusosi con sentenza irrevocabile il 20 aprile 2016, estendeva l’operatività della cosca fino al novembre 2011. In quel contesto, venivano condannati per associazione mafiosa vari imputati attuali, come il defunto Lanzino, quest’ultimo anche per l’omicidio di Enzo Pelazza, avvenuto a Carolei nel 2000.
L’organizzazione andava poi incontro a nuovi scossoni. Lanzino e Presta si davano alla latitanza, Dedato – il contabile – si pentiva, mentre Carmine Chirillo si suicidava in carcere. La reggenza veniva meno, ma non l’operatività.
Nel frattempo, l’operazione “Telesis” contribuiva a delineare gli assetti criminali. Il clan Lanzino-Cicero riconquistava il controllo del territorio, mentre gli unici antagonisti rimasti erano i Bruni, detti “bella bella”, alleati agli Abbruzzese, noti come “gli zingari”, dopo l’eliminazione dei rivali.
Quel procedimento penale prendeva di mira proprio l’articolazione dei Bruni. La loro egemonia entrava in crisi con la morte di Michele Bruni e l’omicidio del fratello Luca, episodi centrali nella nuova geografia mafiosa.
L’inchiesta “Vulpes”, che portava alla cattura di Lanzino nel novembre 2012, ricostruiva l’assetto della cosca capeggiata da Lanzino, «diretta espressione criminale di Gianfranco Ruà». Anche qui emergeva una continuità organizzativa estesa almeno fino a marzo 2013.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 15 dicembre 2015 (irrevocabile il 28 marzo 2017), sanciva che il sodalizio aveva operato «dal 2008 fino all’11 marzo 2013». Venivano condannati, tra gli altri, Adolfo D’Ambrosio, Alberto Superbo e Umberto Di Puppo. La figura di Francesco Patitucci emerge ancora una volta.
Il contesto di riferimento si completa con l’analisi del gruppo “Rango-Zingari”, oggetto di ulteriori pronunce: «Va, infine, richiamata la sentenza del GIP di Catanzaro del 6 aprile 2016 n. 336/16 e quella della Corte d’Appello del 18 dicembre 2017 n. 16/17, relative alla consorteria c.d. ‘Rango-Zingari’».
È in questo intreccio di processi, alleanze e ricostruzioni giudiziarie che, secondo il giudice Giacchetti, si colloca la nascita della nuova associazione mafiosa unitaria e confederata, descritta al capo 1 del processo Reset.