Inchiesta sull'acqua inquinata a Cosenza, l'opposizione: «Dal Comune ora risposte precise»
Un problema annoso, segnalato da mesi, ma ancora irrisolto. Una vicenda che torna oggi con forza d’attualità a seguito dell’apertura di un’indagine da parte della Procura della Repubblica di Cosenza in merito alla presunta contaminazione dell’acqua potabile in alcune zone della città, in particolare lungo via Panebianco e nei quartieri limitrofi. Una questione che coinvolge direttamente la salute pubblica, i diritti dei cittadini, e la responsabilità dell’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Franz Caruso.
Una denuncia che diventa inchiesta
La notizia dell’apertura di un fascicolo penale presso il Tribunale di Cosenza, con oggetto le problematiche legate alla salubrità dell’acqua nelle zone interessate, ha riacceso i riflettori su una grave emergenza che da tempo affligge diverse aree urbane del nord della città.
Secondo quanto emerso dalla stampa locale, l’indagine sarebbe scaturita da una denuncia formale, presumibilmente corredata da documentazione tecnica e testimonianze. È lecito dunque chiedersi come mai, a fronte di queste segnalazioni, l’Amministrazione non sia intervenuta prima con la dovuta serietà.
Una questione di salute pubblica ignorata per mesi
I consiglieri comunali di minoranza, firmatari di numerose interrogazioni e richieste ufficiali, lo dicono chiaramente: “Noi lo avevamo segnalato da tempo”. Era infatti novembre 2024 quando, con una nota pubblica, denunciarono “la persistente emergenza idrica nelle zone di via Martorelli e via Lanzino, in zona via Panebianco”, sottolineando la presenza di acqua torbida, maleodorante e potenzialmente nociva per la salute.
Il problema, più che episodico, pare essere diventato strutturale. Malgrado le rassicurazioni del sindaco, che nel dicembre 2024 in sede di Consiglio Comunale aveva garantito di aver risolto il problema con interventi tecnici e analisi, nulla è cambiato per i residenti. L’acqua ha continuato a presentare alterazioni visive e olfattive, e i disagi sono rimasti immutati.
Le promesse non mantenute
Un documento d’azione era stato inoltre discusso in Consiglio, con l’obiettivo di formalizzare gli impegni del sindaco e dell’Amministrazione comunale per affrontare con urgenza il problema. Ma da allora – fanno notare i consiglieri – è passato oltre mezzo anno senza che si vedessero risultati tangibili.
Quel documento, accettato anche dalla maggioranza consiliare, chiedeva impegni precisi: verifiche approfondite, interventi strutturali e trasparenza nei dati. Ma l’Amministrazione non ha dato seguito agli impegni. La conseguenza è che, oggi, l’emergenza si ripresenta con tutta la sua gravità, aggravata da una colpevole inerzia politica.
La magistratura farà il suo corso, ma il Comune deve agire ora
I consiglieri di minoranza non entrano nel merito dell’indagine penale: “Non ci interessa augurare condanne a nessuno, la giustizia farà il suo corso”, scrivono. Ma prendono spunto dall’apertura dell’inchiesta per tornare a pretendere chiarezza: cosa è stato fatto da dicembre ad oggi? Quali azioni concrete ha intrapreso il Comune? Perché i problemi persistono?
Domande legittime che attendono risposte urgenti e documentabili.
Richieste precise e non più rinviabili
Nel loro intervento congiunto, i consiglieri comunali firmatari dell’appello – Francesco Caruso, Francesco Cito, Giuseppe D’Ippolito, Alfredo Dodaro, Francesco Luberto, Ivana Lucanto, Antonio Ruffolo, Francesco Spadafora e Michelangelo Spataro – avanzano quattro richieste concrete all’Amministrazione:
- Attivazione immediata di una task force indipendente, composta da esperti e tecnici esterni all’Amministrazione, per individuare l’origine dell’inquinamento.
- Pubblicazione integrale di tutti i rapporti tecnici e delle analisi effettuate finora, comprese quelle commissionate dal Comune stesso, per garantire la massima trasparenza.
- Interventi strutturali urgenti sulla rete idrica, con indicazione di tempi certi e copertura economica.
- Garanzie ufficiali sulla potabilità dell’acqua, con comunicazioni periodiche alla cittadinanza e disponibilità di analisi certificate.
Richieste che appaiono tanto ragionevoli quanto indifferibili: si tratta, in fondo, della tutela della salute pubblica, bene che non può essere sacrificato sull’altare della burocrazia o dell’inerzia politica.
Un’emergenza che fotografa un fallimento amministrativo
Il caso dell’emergenza idrica a Cosenza è emblematico di come la mancanza di ascolto e di azioni tempestive da parte delle istituzioni possa aggravare una crisi che poteva essere contenuta. È inaccettabile che cittadini debbano convivere per mesi con acqua potenzialmente contaminata, senza sapere con certezza se sia sicura per l’uso quotidiano.
Ciò che emerge è un fallimento amministrativo: non basta fornire rassicurazioni in Consiglio Comunale se poi non seguono interventi. Non bastano dichiarazioni pubbliche se poi le segnalazioni vengono ignorate.
Il ruolo della politica: vigilare, denunciare, proporre
Nel silenzio delle istituzioni, è stata la politica di opposizione a mantenere alta l’attenzione, documentando, denunciando e proponendo soluzioni. Un’opposizione che oggi, davanti all’apertura dell’indagine giudiziaria, non si limita a chiedere colpevoli, ma chiede risposte operative.
È un segnale importante: la politica locale, anche quando non è al governo, ha il dovere di vigilare, dare voce ai cittadini e pretendere trasparenza.
La salute non è negoziabile
Alla base di tutto c’è una verità che non può essere ignorata: la salute non è negoziabile. Non può essere subordinata ai tempi della politica, né affidata a rassicurazioni generiche. I cittadini hanno il diritto di sapere se l’acqua che esce dai loro rubinetti è potabile, e il dovere dell’Amministrazione è fornire risposte certe, basate su dati scientifici e non su promesse.
Nel frattempo, l’indagine della Procura seguirà il suo corso, ma il tempo della politica è adesso: serve un piano straordinario, che metta al centro la sicurezza idrica e che restituisca fiducia ai cittadini.