Ingiusta detenzione, la Cassazione dice no a un cosentino: le motivazioni
Un cosentino, già condannato in via definitiva nel processo “Tela del Ragno”, si era rivolto alla Corte d’Appello di Salerno, chiedendo il riparo economico per ingiusta detenzione. Si tratta di Fabrizio Rametta, accusato in origine dalla Dda di Catanzaro di far parte di un sodalizio mafioso operante a Paola, insieme a Franco Tundis, Pasquale Besaldo e Pier Mannarino, ritenuto dedito al traffico di armi e di stupefacenti. Rametta nel 2013 fu condannato dal gup di Catanzaro, poi nel 2015 la sentenza era stata confermata anche dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro e sigillata nel 2017 dalla Cassazione.
Nel 2018 il proscioglimento per la non ipotizzabilità del sodalizio criminoso
Essendo però, in altro e distinto procedimento, intervenuta la definitiva assoluzione di Franco Tundis dal reato associativo con la formula “perché il fatto non sussiste” (la pronunzia assolutoria nei riguardi del Tundis, pronunziata in primo grado dal Tribunale di Paola 1’11 marzo 2015, era stata confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro il 17 marzo 2017 ed era divenuta irrevocabile per mancata impugnazione), Fabrizio Rametta – come pure Mannarino e Besaldo – era stato prosciolto dal reato associativo in sede di revisione dalla Corte d’appello di Salerno in data 6 giugno 2018, sempre con la formula dell’insussistenza del fatto, atteso il contrasto di giudicati e stante la non ipotizzabilità di un sodalizio criminoso formato unicamente da Rametta, Mannarino e Besaldo.
Ingiusta detenzione a un cosentino, la Corte d’Appello di Salerno dice no
Di recente, la Corte d’Appello di Salerno ha negato la pronunzia riparatoria invocata da Rametta sul rilievo della natura ostativa della sua condotta, giudicata quanto meno gravemente colposa e tale da aver dato causa alla sottoposizione del medesimo a restrizione cautelare, come si ricava dalle intercettazioni di conversazioni riportate per stralcio nell’ordinanza, nelle quali egli parla con altri soggetti ritenuti appartenenti al sodalizio facendo chiari riferimenti ad armi, droga e a danaro proveniente da attività illecite, alle quali avevano fatto riferimento le pronunzie di condanna emesse a carico dell’instante, a riprova della decisività causale del suo comportamento ai fini del giudizio di colpevolezza emesso nei suoi confronti.
Ingiusta detenzione, le motivazioni della Cassazione
La quarta sezione penale della Cassazione, lo scorso 14 dicembre ha dichiarato infondato il ricorso presentato da Fabrizio Rametta, poiché è «da ritenersi assodato che la condotta tenuta da Rametta, non tanto per le frequentazioni da lui intrattenute con soggetti attenzionati, quanto per l’oggetto delle conversazioni intercettate da lui intrattenute con costoro, deve ritenersi caratterizzata quanto meno da colpa grave, atteso che in dette conversazioni (per come si ricava in atti) egli riferisce in ordine a condotte oggettivamente illecite – sia nell’ambito del traffico di stupefacenti, sia in termini di approvvigionamenti di armi – alle quali egli certamente riferisce di aver partecipato in prima persona» si legge nel provvedimento firmato dalla Cassazione.
Le conclusioni degli ermellini
«E’ noto che, ai fini dell’ostatività della condotta gravemente colposa dell’interessato ai fini della riparazione dell’errore giudiziario, versa in colpa grave chi mantenga, prima dell’inizio del procedimento, che poi porterà all’errata affermazione di penale responsabilità, e nel corso dello stesso, condotta caratterizzata da noncuranza, negligenza, incuria, indifferenza per quanto dai propri atti possa derivare sul piano penale, disinteressandosi delle vicende del processo e astenendosi dal fornire spiegazioni all’autorità giudiziaria, sì che la sopravvenuta sentenza di condanna possa ritenersi evento prevedibile dalla generalità delle persone di ordinaria esperienza» prosegue la quarta sezione penale.
«L’esclusione dell’affermazione di responsabilità di Rametta è intervenuta essenzialmente in relazione a fatti esterni al giudizio nei suoi confronti, ossia a seguito dell’assoluzione di Tundis dall’accusa di avere fatto parte del medesimo sodalizio del quale si riteneva facesse parte anche Rametta» conclude la Cassazione.