Lupara bianca a Rossano, Rocco Azzaro condannato all’ergastolo
Con il mandante pentito e l’esecutore materiale ormai defunto, a farne le spese in termini giudiziari è il terzo uomo presente sulla scena del crimine il 6 febbraio del 2001
Il mandante si è pentito e l’esecutore materiale è morto; il risultato è che per la morte di Emanuele Sacchetti, datato 6 febbraio 2001, pagherà solo Rocco Azzaro, 71 anni da Corigliano. Ergastolo è la pena che gli è stata inflitta per quell’omicidio in cui ebbe un ruolo lugubre, ma tutto sommato secondario: ripulire il pavimento dal sangue versato dalla vittima. Questo almeno gli vide fare Ciro Nigro che, vent’anni dopo, da collaboratore di giustizia, raccontò di come, quel giorno, proprio lui fu convocato sul posto, un’azienda agricola di Rossano, con il compito di occultare il cadavere.
Si trattava di un delitto maturato nel contesto turbolento della ‘ndrina rossanese, all’epoca alleata del clan dei nomadi di Cassano allo Jonio. Il mandante si è pentito, dicevamo. Parliamo di Nicola Acri, al secolo “Occhi di ghiaccio”, il boss di Rossano che per questa vicenda ha incassato una condanna mite: nove anni e quattro mesi di reclusione. E’ a lui che, in quei giorni, il povero Sacchetti, allora ventinovenne, guarda con ammirazione. Sogna, infatti, di entrare a far parte dell’organizzazione, ma ignora di essere diventato inaffidabile agli occhi del suo idolo. Proprio Acri, quel 6 febbraio, sfrutta il suo ascendente su di lui e lo convoca presso il casello ferroviario di Rossano. È una trappola, ma questo Sacchetti non lo sa.
L’antefatto sembra mutuato da un film di Scorsese. Acri ha promesso a Sacchetti di farlo entrare a pieno titolo nella cosiddetta onorata società, tant’è che il meeting in quella fattoria serve a sbrigare proprio questa formalità. Il pentito, però, racconta che, una volta giunti sul posto, Sacchetti si ritrova davanti Eduardo Pepe che, senza pensarci troppo, lo uccide con tre proiettili calibro 9 esplosi da una pistola munita di silenziatore. Il resto è solo il macabro rituale descritto da Nigro, che carica il corpo su una carriola, lo seppellisce in un angolo della tenuta e poi provvede a gettare nel torrente i suoi vestiti.