Lupara bianca a San Demetrio Corone, la mano del diavolo per "Il brasiliano"
Arriva a San Demetrio Corone al termine di un percorso tortuoso che da Cosenza lo catapulta prima a Lauropoli di Cassano e poi ad Apollinara, frazione di Corigliano. I suoi amici rom cosentini lo hanno portato lì perché hanno in programma l’acquisto di una grossa di partita di stupefacenti, ma prima vogliono testarne la qualità. Questo, almeno, è il modo con cui gliel’hanno presentata.
È l’undici settembre del 2001. Massimo Speranza, ventuno anni compiuti a marzo, non nutre alcun sospetto. Quello dell’assaggiatore è un ruolo prestigioso in ambito criminale. Lo chiamano “Il brasiliano” per quei lineamenti gentili su carnagione olivastra e, fin lì, si è occupato solo di piccolo spaccio e cavalli di ritorno. Si è già svezzato con un po’ di carcere e, per come la vede lui, quella è una promozione. Non c’è motivo di pensare male. La duplice sosta al bar serve a scacciare le ombre residue. E così, quando finalmente arriva a destinazione, è pronto a fare il suo dovere.
Appena giunto in quella casa di campagna, lo fanno accomodare in poltrona e Ciro Nigro gli offre una sigaretta. Eduardo Pepe avanza verso di lui per accoglierlo. Gli tende una mano in segno di saluto, ma è quella sinistra. Per i superstiziosi, è la mano del diavolo. Il brasiliano non si accorge dell’anomalia. Non ne ha il tempo. E non si avvede neanche che nella destra il suo ospite impugna una pistola calibro 38. Tutto si consuma nel giro di pochi secondi. Pepe esplode un proiettile che lo centra in fronte. Speranza cade a terra, il sicario fa un mezzo giro attorno al corpo e fa fuoco una seconda volta, colpendolo alla nuca.
«Stavi per ammazzare pure me» si lamenta Nigro, anche lui sorpreso dalla fulmineità dell’esecuzione. È un pezzo di commedia nel dramma che sta per arrivare a compimento. Lo infilano in un sacco e lo portano fuori dall’abitazione. A una ventina di metri da lì, c’è un boschetto e il corteo funebre si arresta ai piedi della prima fila di piante dove è stata già scavata una buca per accogliere il cadavere. Massimo Speranza ci era passato davanti poco prima, quando ancora il mondo girava dalla sua parte e non poteva ancora immaginare che quel bosco sarebbe diventato la sua tomba.
È lì, tra alberi e foglie, che riposa orma da quasi ventiquattro anni. Gli investigatori hanno provato a riportarne alla luce i resti con diversi sopralluoghi operati insieme al reo confesso Ciro Nigro. Tentativo inutile perché quest’ultimo non è riuscito a individuare con precisione il terreno teatro di quei luttuosi eventi. Dalla sua memoria ormai appannata, però, è emerso un altro ricordo, insignificante ma lugubre. Il piccolo cellulare Motorola in uso alla vittima, all’epoca un modello all’avanguardia che Nigro avrebbe voluto tenere per sé. «Eduardo però mi disse che non era il caso, e che poi me ne avrebbe comprato lui uno uguale. E così, lo ha spezzato e buttato via».