Narcotraffico a Roggiano, le difese contestano l'esistenza dell'associazione Presta
Non vi sarebbe prova dell’esistenza dell’associazione dedita al narcotraffico organizzata e gestita dalla famiglia Presta di Roggiano Gravina. E’ questo il leit-motiv delle prime discussioni difensive andate in scena oggi a Cosenza davanti al tribunale collegiale presieduto dal presidente della sezione penale dibattimentale Carmen Ciarcia, nell’ambito del processo “Valle dell’Esaro“, l’inchiesta della Dda di Catanzaro che avrebbe permesso di far emergere un ingente traffico di sostanze stupefacenti nei comuni di San Marco Argentano, Roggiano Gravina, Tarsia, Spezzano Albanese, San Lorenzo del Vallo, Terranova da Sibari, Acri, Castrovillari e addirittura Mendicino.
Si parte da richieste di condanne molto elevate avanzate nel luglio scorso dal pubblico ministero Alessandro Riello, titolare del procedimento penale. Il magistrato nel corso della requisitoria aveva ricostruito tutte le posizioni, chiedendo per quasi tutti pene severe. Quattro invece le assoluzioni invocate al vaglio ora del tribunale di Cosenza. Per la Dda quindi il gruppo Presta ha avuto la capacità di costruire una rete di pusher operanti in diversi comuni della Valle dell’Esaro, grazie all’approvvigionamento del presunto broker reggino Antonio Giannetta.
Processo “Valle dell’Esaro”, ora tocca alle difese
Il primo intervento è stato quello dell’avvocato Raffaele Rigoli che insieme al penalista Angelo Pugliese difende Alessandro Scalise, imputato per estorsione. «Non ci sono gli elementi costitutivi del reato e dalle intercettazioni non emerge alcun riscontro che possa far ritenere Scalise quale autore del reato contestato dalla Dda di Catanzaro in ordine al reato di estorsione».
Poi è stata la volta dell’avvocato Luca Donadio, difensore di Alessandro Avenoso e Giovanni Sangineto, entrambi inseriti nel presunto contesto associativo. «Esistono prove scarne nei confronti dei miei assistiti che non giustificano le richieste di pena del pubblico ministero. Richieste da cui dissento, ma che sono lecite. Fanno tremare i polsi rispetto a un reato che non è grave ma aberrante». Il penalista del foro di Castrovillari ha dubitato del narrato del collaboratore di giustizia Roberto Presta. «Chi accusa deve sapere, deve conoscere, ma in realtà Presta non sa nulla dei miei assistiti. Le risultanze probatorie non confermano le accuse della procura, visto che i principi giurisprudenziali smentiscono il tutto».
L’avvocato Donadio ha aggiunto che Presta non è stato per nulla preciso nell’indicare il bar della moglie di Sangineto che non si trova nei pressi della procura di Castrovillari ma da tutt’altra parte. Così come «la compagna di vita dell’imputato non è alta, ma è addirittura più bassa di me, senza voler mancare di rispetto alla signora». Su Avenoso invece ha spiegato che è effettivamente un vicino di casa di Armando Antonucci, il presunto “contabile” del gruppo Presta di Roggiano Gravina, escludendo però la sua partecipazione all’associazione contestata dalla Dda di Catanzaro. «Nelle intercettazioni si parla di un tassellatore» che per la Dda è un nome criptico per intendere la droga, ma l’avvocato ha sottolineato che Avenoso usa ogni giorno questo strumento per lavorare.
Le argomentazioni difensive si sono spostate poi sulla figura di Domenico Caputo, uno degli imputati di “Valle dell’Esaro“, residente a Mendicino, attualmente incensurato. «Il collaboratore Presta ha sostenuto che il suo gruppo si era allargato su Cosenza e Mendicino? Ebbene, è stato già acclarato che a Cosenza esistono due clan: gli “zingari” e gli italiani. Il primo dedito al traffico di stupefacenti di tipo eroina (ma non solo) e l’altro alla commissione di reati contro il patrimonio. Mendicino non poteva essere senza alcun dubbio una “piazza” di spaccio e dal processo emerge un dato inequivocabile: Caputo non è partecipe di questa presunta associazione». A seguire sono intervenuti gli avvocati Michele Donadio e Mortati per le posizioni di Erik Grillo e Cristian Ferraro, per i quali è stata chiesta una sentenza assolutoria, ribaltando il teorema accusatorio grazie a quanto emerso nel processo che va esclusivamente nella direzione prospettata dalle difese.
La penultima discussione della prima giornata di interventi è stata quella dell’avvocato Pierluigi Pugliese, difensore di Giuseppe Ferraro, originario di Acri. «Al mio assistito viene contestato il fatto di avere avuto un debito di 10mila euro in relazione all’acquisto di droga dal gruppo Presta. Nessun elemento processuale può portare a questa conclusione, soprattutto quando viene escluso che Giuseppe Ferraro non percepiva alcun “stipendio” da parte della presunta associazione. E poi, signori del tribunale, ma che associazione è questa se permette al presunto partecipe di rivendere la sostanza stupefacente a un prezzo decisamente più alto rispetto a quello concordato per la vendita? In realtà, la procura sostiene che qui si tratta di “droga parlata“. Le conversazioni captate dagli investigatori non dimostrano neanche una cessione di sostanza stupefacente».
Infine, ha discusso l’avvocato Aurelio Sicilia per le posizioni di Sonia Presta e Gianfranco Mariotta: «Non potevo mai immaginare, visto l’andamento del processo, che la pubblica accusa chiedesse la condanna per i miei due assistiti. Il dibattimento ha dimostrato la loro estraneità ai fatti». Le discussioni proseguiranno il prossimo 2 ottobre. Fissate anche altre due date: 4 e 11 ottobre. La sentenza sarà dunque emessa prima della fine dell’anno.