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25/12/2024 ore 15.30
Cronaca

Natale di sangue a Cosenza, il delitto di piazza Riforma

Il 12 dicembre del 1981 cade in un agguato il venditore di pini e abeti Francesco Porco, nell'anno più cruento della guerra di mafia si muore senza motivo
di Marco Cribari

L’anno che volge al termine non lascia un bel ricordo. Il 1981 è stato per Cosenza il più cruento della guerra di mafia. Almeno una decina di morti, quasi uno al mese, con agguati e sparatorie all’ordine del giorno. Un anno in cui, per dirla con un pentito, era facile «uscire per strada e sentire “Ta… ta”. Vuol dire che qualcuno sta sparando a qualcun altro». Il 12 dicembre, però, quel brutto 1981 sta per essere archiviato. I cosentini si preparano al Natale con il piglio di sempre: il pesce fresco prenotato in pescheria, i regali alla Standa o da Bertucci, l’abete con luci, palline e fili d’angelo in salotto o nel tinello di casa. In molti vanno ad comprarlo a Piazza Riforma, dove ogni anno ce n’è una vasta esposizione nello slargo compreso tra il bar Cimbalino e il bar Columbia. Il 12 dicembre l’ottimismo sembra prevalere sui tristi presagi. Non si metteranno a fare «Ta» pure sotto Natale, pensano i più. Purtroppo si sbagliano.

Franco Porco, 32 anni, indossa un impermeabile verde che fa pendant con ciò che lo circonda. E’ lui che, previa concessione ottenuta dal Comune vende pini e abeti nella piazza in società con tre amici. Alle 17 arriva sul posto di lavoro a bordo della sua Bmw 323 e prende a chiacchierare con loro. Passa un’oretta e due uomini si avvicinano al gruppetto. Sono vestiti di nero e hanno il volto coperto dai passamontagna, neri pure questi. Rapidi e silenziosi estraggono due pistole e fanno fuoco cinque, sei, sette volte. I colpi vanno tutti a segno, l’uomo con l’impermeabile verde cade sull’asfalto. L’odore della resina, nell’aria fredda dicembrina, si confonde con quello della polvere da sparo.

Nel momento fatidico, due dei suoi amici danno le spalle a Franco e quindi anche ai sicari. «Che tric trac!» esclama uno di loro, quasi complimentandosi per la qualità di quel botto natalizio che botto natalizio, però, non è. Quando vede Franco a terra, il primo pensiero è che sia stato colto di sorpresa dall’esplosione e che abbia avuto un mancamento. Oppure che stia scherzando. Si avvicina a lui con un mezzo sorriso, ma poi si accorge che l’amico ha la bocca spalancata e gli occhi sbarrati. Respira appena.

Alla scena assiste in modo compiuto solo uno dei suoi soci. E’ sotto shock, paralizzato dal terrore e si ridesta solo perché di fianco a lui c’è una signora di mezz’età che sta decidendo quale alberello acquistare. Anche lei vede la morte in diretta e reagisce come reagirebbero in tanti: sviene. L’amico di Franco riesce a sorreggerla e poi cerca di consolarla. Nessuno di loro dimenticherà mai quella scena. Il più risoluto del gruppo di amici, afferra il ferito e lo carica su un’Alfetta, poi fila a tutto gas verso il vicino ospedale. Sarà tutto inutile.

«Franco mio, Franco mio». Sul posto, cominciano ad arrivare i familiari. Suo padre si trova poco lontano da lì, all’incrocio con via Veneto. Sente gli spari e pensa anche lui a «un mortaretto». Poi però vede sfrecciare l’Alfetta e ha un brutto presentimento. Che troverà conferma, la più triste, da lì a pochi secondi.

A una ventina di metri di distanza, tre ventenni tirano qualche calcio a un pallone. Sentono «Ta… ta» e uno di loro mette a fuoco una scena terribile: vede una Fiat 127 bianca e un uomo col passamontagna che sale precipitosamente dal lato passeggeri. L’auto riparte velocissima e gli passa accanto, la guida un altro incappucciato. I due imboccano via Alberto Monaco in salita, poi tirano dritto per viale della Repubblica, scendono da via Talarico e proseguono in via Nicola Parisio. Lì c’è una traversina, una strada privata aperta però al traffico. Vi abbandonano il veicolo, non prima di averne incendiato gli interni, mentre un complice li attende a bordo di un’auto pulita. Una luce sinistra rischiara il buio di uno dei quartieri più sonnolenti della città.

Gli assassini, intanto, hanno un problema da risolvere: uno di loro è rimasto ferito. Invece di dare il colpo di grazia alla vittima, uno dei pistoleri ha colpito il piede del suo complice, frantumandogli un dito. Poco male. Hanno un’amica infermiera che provvederà a curarlo in incognito. In ospedale, lui non ha mai messo piede.

Chi è Francesco Porco e perché viene ammazzato? Era amico di Elio Sconnetti e Nicola Cannatelli, due della vecchissima guardia criminale, e all’epoca pure lui è considerato vicino al boss Tonino Sena. Si diceva fosse pure affiliato, ma di certo in quel 1981 già non lo era già più. Con la guerra di mafia lui non aveva proprio niente a che fare. Sul movente dell’omicidio, le versioni dei pentiti non combaciano. Franco Pino sostiene che la «praticava l’usura», mentre altri lo ricordano un po’ alticcio sotto alle finestre del carcere, mentre inveisce all’indirizzo dei detenuti della cosca Perna. Qualcuno lo avrebbe sentito dire: «Ih pisciaturi». Ma con ogni probabilità, anche loro tentano di spiegare ciò che non si può spiegare.

L’unica certezza è che proprio il gruppo Perna a macchiarsi del suo omicidio. L’intenzione del commando, però, sarebbe stata quella di colpire un parente di Umile Arturi, uno dei big della banda nemica. La vittima designata, però, se ne va all’ultimo momento e così i killer ripiegano sul venditore di alberi di natale. Il povero Franco Porco, dunque, si sarebbe trovato solo nel posto sbagliato nel momento peggiore, tant’è che il giudizio più lucido su quegli eventi arriva forse da Francesco Saverio Vitelli. «Sono dei pazzi» sbotterà il boss una volta informato degli eventi, biasimando l’azione compiuta dai suoi uomini. A Cosenza, però, in quei giorni si muore anche così, senza un motivo. Il 1981 volge ormai al termine. E l’anno che verrà non promette nulla di buono.