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27/07/2023 ore 15.10
Cronaca

'Ndrangheta a Cosenza, gli indizi «inesistenti» contro Francesco Ripepi

Il presunto associato del clan Patitucci è stato scarcerato dal Riesame, troppe contraddizioni nei racconti dei pentiti che lo accusano
di Marco Cribari

Francesco Ripepi torna a essere un uomo libero. Uno degli imputati di “Reset” accusato di associazione mafiosa è stato, infatti, scarcerato dal Tribunale del Riesame. Una decisione che era nell’aria, anticipata dal giudizio della Cassazione che, nel rinviare gli atti che lo riguardano a Catanzaro, aveva bollato gli indizi a carico del 44enne cosentino come «inconferenti» o addirittura «inesistenti». Dopo il provvedimento odierno, Ripepi affronterà a piede libero il processo che, anche per lui, si risolverà in abbreviato il prossimo 18 settembre.

L’idea della Dda è che anche lui sia associato al clan Patitucci con compiti da factotum di lusso. In tal senso, il suo ruolo sarebbe quello di veicolare messaggi fra gli associati, occuparsi della latitanza dei capi, custodire le armi del gruppo, offrire il proprio supporto alle azioni omicidiarie e, dulcis in fundo, trafficare in droga. Un quadro che gli inquirenti sono arrivati a comporre esclusivamente attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

E qui arrivano le note dolenti, evidenziate punto per punto in aula dai suoi difensori Michele Franzese e Sandro Furfaro. Sul suo conto, infatti, i pentiti dicono di tutto e di più, ma si tratta di affermazioni generiche e talvolta anche contrastanti. Francesco Noblea, ad esempio, lo vuole dedito al narcotraffico con altre persone «che lavorano per lui» mentre Luciano Impieri lo indica, invece, come semplice impiegato alle dipendenze di Sasà Ariello.

Altre circostanze, valorizzate in precedenza dal gip e da un altro Tribunale del Riesame, sono state ritenute equivoche, passibili di diversa interpretazione. È il caso dell’interessamento da lui mostrato alla sorte di Luca Bruni all’indomani della sua sparizione datata 3 gennaio 2012. Secondo Ernesto Foggetti, Ripepi si sarebbe informato presso Daniele Lamanna, il che in ottica accusatoria rappresenta un tassello in più per dimostrare la sua adesione al gruppo criminale. Il punto è che di Bruni alias “Bella bella”, lui era nipote «sicché – evidenziano i giudici – appare plausibile l’alternativa ricostruzione difensiva, secondo cui quella richiesta d’informazioni potrebbe essere stata dettata solo dal suo legame familiare con la vittima».

Buona parte degli altri sospetti, inoltre, sono mutuati dal suo passato giudiziario ritenuto non più attualizzabile. Quello di essere deputato alla custodia delle armi, ad esempio, era un ruolo confezionato per lui in “Telesis”, l’inchiesta contro il clan “Bella bella” di cui nel 2009 Ripepi era accusato di far parte. Quel processo si è concluso con la sua assoluzione.

E ancora: che fra le sue mansioni vi fosse quella di trovare nascondigli sicuri per i latitanti, trae origine dalla fuga di Walter Gianluca Marsico, poi arrestato nel 2017 dopo un periodo di invisibilità. IN quel caso Ripepi figurava tra gli indagati in qualità di presunto favoreggiatore, ma la sua posizione è stata poi archiviata.

E infine il supporto alle spedizioni killer, ovvero gli indizi «inesistenti» richiamati dalla Cassazione. Nel caso specifico, infatti, si richiama una vicenda triste e datata come quella del bancario Giulio Fiertler, ucciso in via Alimena nel 1993, che non riguardava l’allora quattordicenne Francesco Ripepi, bensì suo padre e suo zio Michele Bruni, comunque poi assolti in via definitiva da ogni accusa. Morale della favola: «Al narrato dei collaboratori – sottolineano i giudici catanzaresi – non può attribuirsi alcuna funzione dimostrativa del ruolo partecipativo che si vorrebbe ascrivere a Ripepi». Il risultato è l’annullamento dell’ordinanza che lo costringeva dietro le sbarre dal primo settembre del 2022.