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17/01/2024 ore 07.30
Cronaca

'Ndrangheta, alleanze e tradimenti sul Tirreno cosentino

Dall'asse dei clan paolani con il gruppo Perna all'amicizia di San Lucido e Cetraro con Franco Pino, c'erano una volta «Quelli del mare»
di Marco Cribari

A Cosenza li chiamano «Quelli del mare». Sono i criminali del Tirreno, protagonisti oscuri della cronaca nera e giudiziaria degli ultimi cinquant’anni.  È un racconto che facciamo partire, idealmente, da Giuliano Serpa che, ancora giovanetto, parte da Paola alla volta della città dei Bruzi in cerca di armi, proiettili e altro ancora. «Mi dissero che per queste cose dovevo andare alla piazza Piccola e chiedere di Carletto Rotundo. Così nacque il rapporto». Rotundo, primo contabile gruppo Perna, poi ucciso nel 1981 in corso Plebiscito. Proprio nello stesso periodo, dall’altra parte della barricata matura invece l’amicizia tra la gang di Franco Pino e quelle di Franco Muto e Nelso Basile. Spartiacque, in tal senso, è la morte violenta di Giovanni Serpa, l’evento che definisce con precisione chi sta con chi.

San Lucido, in quegli anni, è il buen ritiro del boss dagli occhi di ghiaccio e della sua batteria di fuoco, prima che nel 1983 l’antica amicizia lasci il passo al tradimento più feroce. Lo rammenta Vincenzo Dedato in uno dei primi interrogatori. «Franco Muto – spiega – mi diceva che aveva ricevuto una lettera in cui Nelso Basile gli paventava la possibilità di essere ucciso per mano di quelli che lui riteneva i suoi amici e indicava il gruppo Pino o elementi vicini al gruppo Pino, diciamo. Anche dei suoi paesani». E dopo che Basile muore per davvero, nei ricordi di Dedato il Re del pesce se la prende a morte con il suo alleato: «Questo Pino – disse Muto – prima sembra tuo fratello e poi possibilmente ti vende al miglior offerente. Basile gli ha dato l’anima e si è trovato ucciso».

San Lucido dalla parte di Pino, dunque. Con o senza Basile. La città di Paola, invece, si aggancia all’altro carro criminale, il cartello Perna-Pranno. Dal canto suo, Muto non aderisce in modo formale a uno degli schieramenti in campo, ma come ammetterà in seguito Franco Pino: «I suoi amici erano nostri amici e viceversa». Il suo soprannome è il “Re del pesce, ma spesso e volentieri gli inquirenti rispolverano per lui un altro nomignolo da tempo finito nel dimenticatoio: “O’ luongo”. Lo chiamavano così quando sul finire dei ’70, scampa per miracolo a un attentato su cui, sempre secondo Dedato, c’è la firma di Armando Bevacqua, il figliastro di Luigi Palermo “U Zorro” che, all’epoca, guida il clan dei nomadi di Cosenza.

Il padrino di Cetraro, però, ha informazioni differenti. È convinto che a tendergli quell’agguato sia stato qualcuno dei Serpa e le sue convinzioni sono abilmente sfruttate da quelli del clan Pino. «Muto è stata la ciliegina sulla torta per quanto riguardava la nostra organizzazione – spiega Dedato – Perché, facendo pensare che il clan Serpa avesse compiuto l’attentato nei suoi confronti, Pino poteva dire: Noi diamo una lezione a questi e nello stesso tempo facciamo vedere a Franco Muto che noi teniamo tantissimo alla sua persona». Alleanze, amicizie, tradimenti, omicidi. C’è tutto questo, da sempre, nel romanzo criminale cosentino. I capitoli che segnano l’intreccio con le realtà tirreniche non fanno eccezione alla regola. C’erano una volta, e ci sono ancora, quelli del mare…