Omicidio di Rocco Gioffrè, la Corte d’Assise su Tiziana Mirabelli: «Azione aggressiva e determinata a uccidere»
Motivazioni della sentenza sull’imputata: 41 coltellate in uno spazio che impediva alla vittima di reagire
La Corte d’Assise di Cosenza ha depositato le motivazioni della sentenza che ha condannato Tiziana Mirabelli a 17 anni di reclusione per l’omicidio (16 anni per il delitto e un anno per la rapina) di Rocco Gioffrè, 66 anni, avvenuto il 14 febbraio 2023 nell’abitazione della donna in via Monte Grappa a Cosenza. I giudici (presidente Paola Lucente, giudice a latere Francesca De Vuono), nel ricostruire quanto accaduto, definiscono l’assassinio come un’aggressione volontaria, escludendo in maniera netta qualsiasi ipotesi di legittima difesa.
«Vittima confinata, impossibilitata a reagire»
Secondo i magistrati, gli elementi raccolti in istruttoria indicano che Tiziana Mirabelli abbia agito in modo attivo e dominante sin dall'inizio. «La direzione dei colpi, la tipologia delle lesioni alle mani della Mirabelli, l’assenza di lesioni da difesa sulla vittima», si legge nelle motivazioni, «militano per un’azione aggressiva dell’imputata iniziata, con ogni probabilità, fuori dalla camera da letto, per poi svolgersi in uno spazio nel quale la vittima era confinata e con impossibilità di reazione». Gioffrè venne colpito con 41 coltellate. La morte sopraggiunse rapidamente per shock emorragico.
Nessun segno delle presunte percosse
La versione della imputata - secondo cui sarebbe stata picchiata in modo violento da Gioffrè - non ha trovato riscontri clinici. «La totale assenza di lesioni sul corpo della donna è incompatibile con la sua dichiarazione di essere stata violentemente picchiata dalla vittima». Gli unici traumi diagnosticati furono piccole ferite da taglio alle mani. I giudici ritengono «scarsamente credibile» la narrazione difensiva: i tagli sarebbero infatti compatibili con un contatto diretto con la lama durante l’azione offensiva e non con un tentativo di disarmo. «L’imputata poteva allontanarsi, ha invece iniziato ad accoltellare».
La Corte respinge l’ipotesi della scriminante della legittima difesa: «L’avere disarmato Rocco Gioffrè e l’essersi appropriata dell’arma del delitto avevano reso inattuale il pericolo dell’offesa«. Ed ancora: «Tiziana Mirabelli ben poteva scegliere se desistere ed uscire dalla scena, ovvero se darvi corso, per come si determinava a fare». Il passaggio ritenuto maggiormente dirimente è quello in cui la donna riferisce: «Ho preso il coltello e poi ho cominciato a colpirlo, perché tanto avevo capito che o io o lui quel giorno non avevamo via d’uscita».
Nessuna provocazione: «Relazione tossica e conflittuale»
La relazione tra i due, definita «ambigua, conflittuale e di comodo», esclude qualsiasi attenuante da stato emotivo improvviso: «Un quadro di reciproche rivendicazioni, sorte nell’ambito di una relazione paritaria e disgiunti dall’asserito metus esercitato dalla vittima». Resta agli atti un messaggio inviato da Mirabelli pochi giorni prima: «Ma se hai questa paura di me», ed ancora, «è successo un episodio ma non farei male a una mosca». Secondo la Corte, tale elemento dimostra semmai uno stato di soggezione di Gioffrè verso l’imputata.
Niente aggravanti: «Non crudeltà ma dolo d’impeto»
Le aggravanti contestate - futili motivi, crudeltà e teleologia con il furto - sono state escluse. Per i giudici, la rapida sequenza delle coltellate esclude un intento di sevizie: «La mera reiterazione dei colpi non può determinare la sussistenza dell’aggravante dell’avere agito con crudeltà se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento». Tiziana Mirabelli è difesa dagli avvocati Cristian Cristiano e Martina Pellegrino. Le parti civili sono rappresentate dall’avvocato Francesco Gelsomino.