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09/07/2022 ore 08.00
Cronaca

Omicidio Luca Bruni, la Dda di Catanzaro: «Gli Abbruzzese non dovevano essere assolti»

I magistrati Gratteri, Capomolla e Valerio ribaltano le motivazioni della Corte d'Assise di Cosenza, valutando credibili le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia nei confronti dei due imputati
di Antonio Alizzi

A distanza di poche settimane dal deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado contro Luigi e Marco Abbruzzese, assolti dalla Corte d’Assise di Cosenza dall’accusa di aver partecipato all’omicidio di Luca Bruni, assassinato dal “Rango-zingari” di Cosenza, nel gennaio del 2012, in una zona periferica del comune di Castrolibero, la Dda di Catanzaro ha impugnato le due assoluzioni per il reato più grave, visto che Marco Abbruzzese era stato comunque condannato a quattro anni e mezzo per l’occultamento di cadavere, chiedendo alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro di riformare totalmente il provvedimento firmato dal presidente Paola Lucente.

L’appello, firmato dal pubblico ministero Vito Valerio, dal procuratore aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, e dal procuratore capo Nicola Gratteri, si basa su aspetti in fatto e diritto che puntano a ribaltare il giudizio espresso dalla Corte d’Assise di Cosenza, sui collaboratori di giustizia, sentiti nel corso del dibattimento.

Un ricorso che richiama le sentenze definitive di Franco Bruzzese, Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti, tutti e tre pentiti, e reo confessi del delitto di stampo mafioso, maturato nel 2011 ed eseguito nei primi giorni del 2012. Assassinio eccellente dell’ultimo boss della famiglia “Bella bella” di Cosenza, falcidiata negli anni passati dall’operazione “Telesis” e da altri fatti di sangue, inseriti nella cosiddetta “guerra di mafia” cosentina tra il clan degli “italiani” e gli “zingari”.

Dopo l’omicidio di Luca Bruni, si leggerà nelle carte dell’inchiesta “Nuova Famiglia”, si giunse a una confederazione tra cosche, dove i proventi illeciti del traffico di droga, dell’usura e delle estorsioni, venivano versati in una “bacinella” unica.

Omicidio Luca Bruni, perché (secondo la Dda) i due imputati sono colpevoli

Il primo aspetto trattato nel reclamo è quello delle dichiarazioni di Daniele Lamanna, esecutore materiale del delitto. «A giudizio della Corte, la principale testimonianza del collaboratore di giustizia Daniele Lamanna “soffre per un deficit di credibilità specifica contro i due imputati, che mal tollera”. Ad avviso del pubblico ministero appellante, si tratta di un giudizio erroneo, laddove confonde le ragioni che lo distanziavano dall’idea di confederarsi criminalmente con gli “zingari-banana” con un preteso astio personale nei confronti degli imputati».

Secondo la Dda di Catanzaro non sono emersi in dibattimento elementi che hanno inficiato la credibilità del collaboratore di giustizia. Daniele Lamanna, secondo l’accusa, è “l’uomo d’azione” al quale «Franco Bruzzese affida sostanzialmente il ruolo di esecutore materiale assieme ad Adolfo Foggetti». Nelle riunioni preparatorie dell’omicidio di Luca Bruni, «Lamanna chiedeva conto, in separata sede, allo steso Bruzzese» sulla partecipazione ai summit dei “Banana”, il quale tuttavia «lo rassicurava sia sul fatto che oramai i “Banana” erano da considerarsi «con loro», sia sul fatto che Marco Abbruzzese era cresciuto criminalmente, portando come esempio la gambizzazione ai danni di “Pancione”, tema trattato nel processo “Testa di Serpente”, con la relativa deposizione di Rocco Abbruzzese.

In una conversazione intercorsa tra Lamanna e Bruzzese, il killer di Luca Bruni avrebbe detto al mandante «ma la presenza dei banana, di Luigi, Marco…» (…) «no tutto a posto, tanto sono con noi, non ti devi preoccupare». In sostanza, riporta la Dda di Catanzaro, Lamanna era «diffidente» e riteneva non meritevoli i “Banana” di far parte dell’associazione unitaria. Fatti circonstanziati nel 2011, ma in realtà nel 2014, anno in cui scattò il blitz “Nuova Famiglia”, non ci fu alcun accenno né ovviamente la presenza di Marco e Luigi Abbruzzese nelle carte dell’inchiesta, quali presunti affiliati alla cosca “Rango-zingari”.

Ma per l’ufficio antimafia di Catanzaro, «le affermazioni di Daniele Lamanna sono chiare, precise, coerenti e lucidissime: sono così genuine e spontanee che non nascondono (anzi la spiegano) la sua “diffidenza criminale” rispetto al gruppo dei Banana». Quindi, il pm Valerio, circa il deficit di credibilità, relativamente a Lamanna, ritiene che la valutazione della Corte d’Assise di Cosenza, sia stata «eccentrica», fermandosi al «dato esteriore, non sufficientemente scandagliato dal giudicante, della “non accettazione” dei Banana, ma che non trova appoggio probatorio alcuno nella valutazione complessiva del dichiarante».

L’accusa, richiamando le propalazioni di Lamanna, è convinta della responsabilità penale di Marco Abbruzzese, non solo come soggetto entrato nella scena del crimine dopo il delitto per occultare il corpo di Luca Bruni, ma anche come coinvolgimento morale nella vicenda mortale. In definitiva, per la Dda di Catanzaro non “vede” gli «asseriti insanabili contrasti dichiarativi tra Lamanna, Foggetti e Bruzzese, circa la presenza e il ruolo di Marco Abbruzzese sul luogo del delitto».

Omicidio Luca Bruni, la Dda: «Bruzzese inattendibile? Non è vero»

L’analisi della Dda di Catanzaro si sposta poi su Franco Bruzzese, vero “regista” dell’omicidio di Luca Bruni. «È ritenuto inattendibile dalla Corte per essere, ad avviso del giudicante, sostanzialmente poco affidabile nello specificare chi era presente e quando ovvero altalenante nell’indicare la presenza di un solo, due o tre dei fratelli Banana». E per la Dda «questa apparente oscillazione si risolve molto semplicemente in una progressiva specificazione, ovvero la lettura dei verbali in ordine cronologico, da dove si coglie “sic et simpliciteruna graduale precisazione della partecipazione degli imputati Luigi e Marco Abbruzzese all’organizzazione dell’omicidio». Per il magistrato Vito Valerio, «non si tratta dunque di versioni differenti, ma di puntualizzazioni convergenti sul tema e spiegate in ragione della diversa sede procedimentale (ed obiettivo investigativo) in cui Bruzzese era di volta in volta chiamato a riferire».

Omicidio Luca Bruni, il contributo dichiarativo di Celestino Abbruzzese

Per la Corte d’Assise di Cosenza, il contributo dichiarativo di Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”, è «assai generico» e «soprattutto la sua è una conoscenza indiretta, per il tramite di Antonio e Nicola». La Dda di Catanzaro, al contrario, non ritiene che il pentito sia stato generico, avendo riferito della partecipazione a una delle riunioni prima del delitto «a casa della madre di Franco Bruzzese». Contestate anche le valutazioni non positive della Corte all’indirizzo di Luca Pellicori e Luciano Impieri.

Omicidio Luca Bruni, le conclusioni della Dda di Catanzaro

La Corte d’Assise di Cosenza, nel motivare l’assoluzione per il delitto più grave, aveva scritto che Luigi e Marco Abbruzzese, non avevano avuto alcun interesse nell’uccidere Luca Bruni. La Dda di Catanzaro, invece, rileva che «l’interesse è quello di partecipare al delitto in funzione dell’affiliazione e non quello diretto di ottenere il monopolio del traffico dell’eroina che costituisce semmai un ritorno utilitaristico successivo». E ancora: «Appare rovinoso l’assunto per cui la presenza degli imputati alle riunioni deliberative dell’omicidio sia fatto neutro ed il loro gesto di approvazione manifestato in quella sede irrilevante sul piano causale, allorché, trattandosi (gli imputati) di meri affiliati non di vertice (dato peraltro sconfessato dai dichiaranti che individuano Luigi Abbruzzese il “reggente in libertà del gruppo Banana”, non ha inciso sul processo decisionale».

Per chi chiede la condanna all’ergastolo di Marco e Luigi Abbruzzese, «gli imputati offrono un contributo morale, materiale e causale in termini di adesione e rafforzamento concreto e specifico del progetto omicidiario». Per la Dda dunque «Luigi Abbruzzese è senza dubbio complice punibile», mentre Marco Abbruzzese «è complice, concorrente morale nella contestazione di omicidio». In conclusione, la Corte d’Assise, secondo i magistrati antimafia, ha sbagliato a deprezzare i pentiti che, in realtà, avrebbero dato un contributo importante nell’accertamento della responsabilità penale degli imputati.