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31/12/2023 ore 18.30
Cronaca

Pc trafugati e intercettazioni artigianali, il “Watergate” ruspante di Panettieri

Un caso di spionaggio politico tra il sindaco e i consiglieri comunali si consuma nel piccolo centro al confine tra le province di Cosenza e Catanzaro
di Marco Cribari

È un piccolo “Watergate” di frontiera quello che si  consuma all’ombra di Panettieri, al confine tra le province di Cosenza e in odor di Catanzarese. Una vicenda di spionaggio politico dai tratti surreali, persino grotteschi. Una storia di spioni e di spiati, con i ruoli che, però, a un certo punto finiscono per invertirsi.

«Chillu merda fitusu, vastasu e bastardu». A esprimersi in questi termini, nel gennaio del 2020 è il sindaco del piccolo centro montano, Salvatore Parrotta. L’amministratore ce l’ha con un consigliere comunale d’opposizione, Alessandro Mancuso, perché ha appena dato un’occhiata ai file contenuti nel suo computer, trovandoci dentro cose a suo avviso inaudite. «Te fa vidiri chillu ca scrivutu alla Procura», spiega ai suoi interlocutori, «Mafiusu? Mafiusu io? E ca io cu a mafia, adduve a fazzu io a mafia?». Come ha fatto Parrotta a entrare in possesso di quel pc?

I fatti risalgono alla fine del 2019, quando Mancuso decide di sbarazzarsi del suo computer ormai in disuso e così lo consegna al centro di raccolta per rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Ignora, però, che quel vecchio arnese non sarà smaltito come da copione e riciclato nelle parti ancora utilizzabili. No, qualcuno lo preleverà dall’isola ecologica per rimetterlo in funzione.

Il diretto interessato lo apprende solo all’inizio del nuovo anno, quando nella buca delle lettere trova un cd con su incisa una conversazione. Riconosce subito la voce del sindaco che inveisce contro di lui. «Ti do l’hard disk che ha buttato, ma te lo devo fare vedere» è il passaggio che insospettisce Mancuso, ma quando Parrotta contatta qualcuno per dirgli «Viani allu Comune e portame chillu hard disk. Subito! Qua! Te fazzu scialare», i suoi timori trovano conferma.

Parrotta, infatti, mostra di essere a conoscenza di alcuni documenti contenuti nel portatile che, ingenuamente, il precedente proprietario – «Chillu ebete e merda» nell’accezione del sindaco – non aveva cancellato. Mancuso decide così di denunciare l’accaduto in Procura. Le indagini portano all’identificazione dell’uomo che aveva trafugato il computer del consigliere. Si tratta di un cugino del sindaco, Gregorio S., a carico del quale s’ipotizza il reato di appropriazione indebita.

L’inchiesta si rivela travagliata: il pm chiede l’archiviazione delle accuse, ma a seguito dell’imputazione coatta disposta dal gip, si arriva al processo. Il difensore dell’imputato, l’avvocato Raffaele Brescia, invoca la non utilizzabilità di quell’intercettazione artigianale poiché raccolta in modo a suo avviso «illegittimo», ma il giudice Francesco Guglielmini lascia correre, tant’è che l’avvocato di parte civile, Giuseppe Lanzino, convoca in aula le persone davanti alle quali si era consumato lo sfogo di Parrotta. I due riconoscono le proprie voci e pure quella del primo cittadino.

Anche quest’ultimo sale sul banco dei testimoni, ma si avvale della facoltà di non rispondere. Non è imputato in quel processo, ma è stato denunciato per diffamazione in un procedimento tuttora pendente davanti al Giudice di Pace di Rogliano. Poca roba, come la sentenza finale che si traduce nella condanna di Gregorio S. a quattro mesi di reclusione con pena sospesa, quattrocento euro di multa e tremila di spese processuali, più eventuali danni da quantificare in sede civile.

Tutto risolto, seppur con qualche interrogativo a margine: chi ha registrato il sindaco mentre ne diceva di tutti i colori sul suo rivale politico? Verosimilmente un altro consigliere comunale, anche se nessuno può dirlo con certezza. E che fine ha fatto il computer del consigliere d’opposizione? Non è mai stato ritrovato. Non sarà il “Watergate”, ma a differenza di quello originale, presenta addirittura qualche mistero vastaso in più.