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12/01/2023 ore 19.25
Cronaca

Processo Bergamini, Panunzio: «La ragazza mi disse che il fidanzato si era buttato sotto il camion»

Sentito in Corte d'Assise anche il brigadiere capo De Paolo. in servizio il 18 novembre del 1989 insieme al maresciallo Barbuscio. Ecco cosa ha dichiarato
di Antonio Alizzi

Tre testimoni nell’ultima udienza del processo Bergamini svoltosi, come consuetudine, nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza, presieduta dal presidente Paola Lucente, con il collega Marco Bilotta a latere. La procura di Castrovillari, nella seduta processuale del 12 gennaio 2023, ha inteso esaminare Mario Panunzio e la sua consorte, e il brigadiere capo De Palo. Il pm Luca Primicerio ha iniziato i “lavori” proprio dal carabiniere in pensione che il 18 novembre del 1989 era in servizio insieme al maresciallo Francesco Barbuscio, comandante della stazione di Roseto Capo Spulico.

I ricordi del brigadiere capo De Palo

I ricordi di De Palo, per sua stessa ammissione, non sono sempre stati precisi in quanto nel corso degli anni ha vissuto situazioni personali che lo hanno sconfortato, come la perdita del giovane figlio avvenuta nel 2015 e una serie di problemi di salute sopraggiunti dopo l’evento mortale, a cavallo dunque dell’escussione fatta nel 2017 davanti alla procura di Castrovillari. De Palo, comunque, ha dichiarato che il posto di blocco volante era stato eseguito nei pressi del bar Infantino, ovvero dove si trovava il passaggio a livello, e non vicino al bar Napoli, dove invece si posizionavano di notte perché c’era più luce. Poi, sempre De Palo, ricordava di aver visto il corpo di Denis Bergamini in posizione supina, mentre le foto dell’epoca hanno sempre mostrato un cadavere in posizione prona e sotto la ruota del camion di Raffaele Pisano.

«Giunti sul posto dell’evento mortale, Barbuscio mi disse di vigilare la macchina, vidi le gambe di Bergamini verso il guard-rail, il viso era intatto, e le macchie di sangue erano nella parte addominale» ha detto De Palo, ribadendo di aver visto il corpo supino. Altra questione rilevante è quella dell’orario. «Quando arrivate sul posto? All’imbrunire, era ancora giorno, non c’era buio».

Gli orari non tornano

Nelle sit rese all’avvocato Gallerani, De Palo aveva dichiarato che intorno alle 17.40 Barbuscio intimava l’alt all’auto bianca, una Maserati, che viaggiava in direzione Taranto. «A bordo c’era una giovane coppia e il maresciallo chiese loro i documenti. Il posto di controllo era iniziato tra le 16.45 e le 16.50» ma sono orari indicativi che hanno portato il pm Luca Primicerio a contestare quanto detto. Ha chiarito tuttavia che la Maserati fu la prima macchina ad essere stata fermata, a Gallerani disse alle 17.40, mentre nelle sit del 2011, dinanzi alla procura di Castrovillari, spiegò che l’orario invece era quello delle 17.15, mentre nel 2017 al procuratore Facciolla ne diede un altro: le 17. «Non era mio compito aggiornare l’allegato A con orario e modello di auto fermata, io facevo altro. Non ricordo poi quante macchine fermammo, ricordo solo quella, poco dopo ce ne andammo, facendo un giro per la giurisdizione e in quel momento arrivò la telefonata e ci recammo sul posto dove era stato segnalato un cadavere. Quel giorno – ha aggiunto De Palo – c’era scarso traffico in direzione Nord».

Il posto di blocco volante per la rapina: si cercava un’auto Opel Corsa

Poi è stato introdotto il tema della rapina. «A Gallerani – ha specificato il pm Primicerio – disse che il posto di controllo volante era stato predisposto in quanto c’era stata una rapina in zona e si cercava un’auto con cinque persone a bordo». Circostanza che De Palo oggi non ha ricordato chiaramente, ma che risulta anche nei verbali del 2017 in procura a Castrovillari. «Barbuscio non mi disse che c’era stata una rapina» ma nei verbali dei carabinieri si dava conto di questo evento nel giorno in cui morì Bergamini.

Nel memoriale infatti si riporta una data di inizio delle operazioni di ricerca della Opel Corsa, 17.15, e un orario finale, quello delle 19.15, momento in cui il servizio di controllo del territorio era cessato. La telefonata del rinvenimento del cadavere sarebbe avvenuta quindi successivamente, quando in realtà – a differenza di quanto dichiarato da De Palo – era già notte. Infatti, è noto che sullo Jonio il sole tramonti prima. Come dichiarato poi anche da Mario Panunzio, era nuvoloso e piovigginava, sin dall’attimo in cui partì da San Lorenzo Bellizzi, comune nativo della nonna della moglie, fino ad arrivare nei pressi della Statale 106 Jonica, nel luogo in cui si registrò il decesso di Donato Bergamini.

«Ero a casa, anzi no»

De Palo, tuttavia, ha continuato a sostenere che la chiamata arrivò all’imbrunire, ma da un secondo aggiornamento delle carte a disposizione del pm e dalle domande poste dall’avvocato Fabio Anselmo, che sia il maresciallo Barbuscio che l’altro carabiniere Bagnato, in servizio in un’altra stazione, davanti al Pretore di Trebisacce, dissero che la chiamata arrivò al termine del servizio per la ricerca dei rapinatori, quindi alle 19.30 quando, senza ombra di dubbio, il buio era calato su Roseto Capo Spulico. Insomma, soltanto De Palo sostiene un orario diverso da quello riportato sulle carte e lo stesso ha fornito una sua versione: «Chi è chiamato a testimoniare nei processi il giorno prima va a consultare gli atti a sua firma, ritengo che per questo motivo gli altri colleghi abbiano detto quell’orario, ma io ricordo all’imbrunire».

Il servizio per il suicidio Bergamini, così annotato dai carabinieri dell’epoca, iniziò invece alle 19.40 e terminò a mezzanotte. «A che ora fa notte il 18 novembre?» ha chiesto poi anche il presidente Lucente e De Palo ha risposto «intorno alle 17.30-17.45 ma ricordo che alle 19 il servizio era già finito e alle 19.30 ero a casa» ma poi si è corretto, una volta conosciuti gli orari del “caso Bergamini“, dicendo che quindi non era nella sua abitazione. Allora il pm ha chiesto conto del faro, evidenziando altre contestazioni. «A bordo dell’auto non avevamo fari», frase detta anche a Gallerani, mentre nel 2011 spiegò che «pur avendo un faro in dotazione, non lo avevamo utilizzato, ma fu preso dopo il fatto perché si era fatto notte. Se c’era la Maserati sul posto? Non ricordo», mentre nel 2010 a Gallerani dichiarò che «sul posto vi era la Maserati ferma senza nessuno a bordo».

L’esame della parte civile

La parte civile ha puntato sull’atteggiamento percepito da De Palo nei confronti dei due giovani presenti nella Maserati: Isabella Internò, imputata per omicidio volontario, e Donato Bergamini. «Nel 2017 – ha esordito Anselmo – lei disse che i due giovani apparivano molto seri e tesi» dichiarazione confermata da De Palo, il quale ha insistito sul fatto di aver visto delle macchie di sangue sulla parte addominale. Sugli orari, inoltre, Anselmo ha domandato: «Si è sbagliato lei o Barbuscio ha detto cose false? Io ricordo in questo modo. Io ricordo l’imbrunire, poi non lo so. Mi convinco che sia così». Poi è toccato all’avvocato Galeone, sempre difensore di parte civile. «La comunicazione via radio? Presa da Barbuscio, io guidavo, ma era in viva voce. La fece Bagnato, che era di un’altra stazione carabinieri», ma il legale ha evidenziato che Bagnato in realtà disse che chiamò la stazione competente. De Palo ha ribadito che non sapeva della rapina e giunti sul luogo della tragedia «c’era una fila di auto, alcune persone erano fuori. Isabella Internò? Vista solo quel giorni in macchina e in caserma mentre telefonava. Barbuscio si allontanò quando seppe che la ragazza si fosse recata a Roseto», come confermato poi Panunzio.

Nel 2011, il brigadiere capo De Palo disse di aver visto il cadavere di Bergamini anche all’obitorio. «Ma non ho partecipato a quella fase» e l’avvocato Galeone ha incalzato il testimone: «Perché lo dice?» e risponde: «Non ho detto obitorio né ho detto il falso. Oggi non ricordo, sono in stato confusionale. Nel 2011 ho detto la verità».

Il controesame di De Palo

L’avvocato Angelo Pugliese, uno dei due difensori di Isabella Internò, ha ripercorso le dichiarazioni rese a suo tempo dal carabiniere De Palo. Nel 2011 «siamo usciti con Barbuscio in quanto allertati per un episodio di rapina, il posto di blocco volante iniziò alle 17.15» e il legale ha chiesto se confermava questa cosa: «Confermo». A Gallerani, all’epoca difensore della famiglia Bergamini, in vista del dossier che in seguito sarebbe stato poi portato all’allora procuratore capo Franco Giacomantonio, disse che la Maserati si trovava davanti all’autocarro. Ma nel 2011 disse che «la Maserati era posta dietro il camion, non ho certezza sull’esatta posizione statica di essa». E nel 2017 riferì su questa ricostruzione.

Sul punto in cui era stata parcheggiata De Palo ha dichiarato di non ricordare esattamente dove fosse, spiegando che «nel 2017 ero in confusione, ho perso un figlio nel 2015 e poi ho avuto diversi infarti». Infine l’ultima domanda: «Chi c’era con Gallerani? C’era la sorella di Bergamini», ma l’avvocato Pugliese ha preso atto che nel verbale della presenza della donna non v’è traccia: «Lo chiederemo all’avvocato Gallerani, chiedo sin da ora di sentirlo su questa circostanza». E ancora: «Incontrati una seconda volta Donata Bergamini quando la lapide fu spostata all’interno della piazzola dopo i lavori della nuova Statale 106 Jonica, io andai lì in qualità di presidente dell’associazione nazionale dei carabinieri».

I chiarimenti del presidente

Il presidente Paola Lucente, insieme al collega Marco Bilotta, ha esaminato il testimone De Palo su alcune cose dette in aula. «Il posto di blocco sulla corsia Sud veniva predisposto di notte perché lì era tutto illuminato. Nessun bambino giocava a pallone né qualcuno si avvicinò alla Maserati, anche perché Barbuscio era molto rigido». E la chiamata, dopo aver terminato il servizio della rapina, «arrivò dopo circa cinque minuti».

Scocca l’ora di Mario Panunzio

Mario Panunzio è il primo soggetto che arriva sul luogo in cui Bergamini muore. Il pm Primicerio, dopo aver sondato la sua vita, «sono originario di Taranto, lavoro al ministero della Difesa, presso l’ufficio arsenale di Taranto, e ci recavamo in quel periodo, ovvero dal 1988 in poi, a San Lorenzo Bellizzi, paese della nonna di mia moglie», lo ha invitato a dire tutto quello che ricorda sulle cose fatte il 18 novembre 1989. «All’andata presi i miei suoceri a Calvera e mi diressi verso San Lorenzo Bellizzi, percorrendo quindi la Statale 106 Jonica. Uscimmo a Cerchiara di Calabria e arrivammo fin sopra, dove la strada si ferma. Al ritorno, quasi all’ imbrunire siamo partiti da San Lorenzo Bellizzi, poi all’altezza di Roseto abbiamo trovato questo evento. Il camion fermo sulla strada, la ragazza gesticolava e si è buttata sulla macchina, chiedendo aiuto. E disse: “Il mio ragazzo si è buttato sotto il camion“. L’unica cosa che potevo fare era quella di accompagnarla da qualche parte per chiamare i soccorsi, così vidi la Maserati, che era spenta, con il muso anteriore in direzione Taranto e tornammo indietro, trovando un bar», quello di Mario Infantino.

«Avevo il pensiero di mia moglie e me ne andai»

«Chiedemmo di poter utilizzare i gettoni, lei telefonò ma non so a chi, mentre i clienti del locale mi fecero domande e dissi loro che un ragazzo era morto. In realtà, io avevo il pensiero di mia moglie, perché in quel momento era incinta, quindi presi la macchina e tornai indietro. Giunto sul posto, lasciai la Maserati e comunicai al carabiniere di aver lasciato la ragazza al bar», confermando quindi il fatto che Barbuscio si diresse verso il bar di Infantino, «e il carabiniere, senza che prese i miei dati, disse che potevo andare. Non ricordo con esattezza dove parcheggiai la Maserati, dopodiché superai il camion e me ne andai».

Cosa avrebbe detto Pisano a Panunzio

Poi ha precisato che Raffaele Pisano gli andò incontro, anch’esso disperato e in lacrime, qualche istante dopo, descrivendo di nuovo la scena precedente. «Anche in macchina la ragazza era disperata, gesticolava, quasi non riuscivo a guidare la Maserati, che in verità non sapevo neanche come si accendesse e chiedeva di accompagnarla a Cosenza, ma questo non sarebbe stato mai possibile». Mentre il camionista di Rosarno, «disse – ha dichiarato Panunzio – che quel giorno non doveva essere lì, perché sua moglie non stava bene, in quanto era ricoverata in ospedale». E ancora: «Da San Lorenzo Bellizzi fino a casa mia ci sono un paio d’ore di macchina, mia suocera era sul lato passeggeri anteriore, in paese stava per fare buio, si vedeva e non si vedeva, mentre giunti a Roseto non si vedeva più. A quale velocità andavo? Piano, è il mio modo di guidare, vado sempre piano».

«Era buio, sono sicuro»

Panunzio ha ribadito che Isabella Internò «urlava come una pazza» e sull’orario di arrivo a Roseto Capo Spulico ha detto di non ricordarsi con esattezza l’ora. «Sul posto era buio, è sicuro, piovigginava e c’era umidità» mentre sulla distanza tra la Maserati e il camion di Pisano oggi ha dichiarato che c’erano 20-30 metri «il mezzo pesante era più giù, non era fermo dove si trovava la macchina», ma nel 2012 aveva parlato di «50-100 metri, ma potevano essere anche 30-40 metri» ha chiarito in udienza. In seguito il pm Primicerio ha mostrato delle foto scattate all’epoca dove si vedeva una Volante della Polizia e la posizione in cui fu parcheggiata la macchina di Panunzio, il quale è certo di non aver fermato la corsa della Maserati davanti al camion.

La parte civile

La parte civile ha chiesto a Mario Panunzio da chi avesse ricevuto telefonate prima dell’udienza odierna. «Da Gallerani» che era il legale della famiglia Bergamini. E successivamente è stato convocato dai carabinieri del suo paese. «Il corpo non l’ho voluto vedere, lì c’erano un sacco di persone». Poi è stata fatta sentire un’intercettazione ambientale del 2017 in cui Forte dice, in presenza di Panunzio e della moglie, «se lo vengono a sapere quelli che siamo qui, chissà cosa ci succede» riferendosi ai presunti complici del caso Bergamini.

La difesa su Panunzio

La difesa di Isabella Internò, infine, ha puntato sull’emotività percepita da Panunzio nei riguardi della loro assistita. «Era fuori di testa, non riuscivo neanche a guidare, perché mi tirava il braccio». Ed ecco l’argomento Gallerani: «Un anno e mezzo prima del 2012, ricevetti una telefonata dallo studio Gallerani», per come risulta dai tabulati, e ha aggiunto: «Se non mi avessero chiamato, non penso che sarei andato dai carabinieri».

Panunzio infatti non compare nel dossier consegnato alla famiglia Bergamini, e il soggetto che accompagnò l’imputata al bar da Infantino veniva individuato come il complice degli assassini, in quanto la Maserati non sarebbe mai stata spostata da lì. Infine, è stata ascoltata anche la moglie di Panunzio che ha riferito di non aver visto Pisano salire sul camion e che quando arrivarono loro sul posto non c’era nessuno. Nell’intercettazione ambientale aveva detto invece che «allora noi siamo arrivati dopo di lei» riferendosi a Forte. «Poi ce ne siamo andati, perché avevamo paura».