Rende, i commissari colpiscono ancora. Chiuso il cinema Santa Chiara, il più antico della Calabria
Da qualche giorno il cinematografo più antico della Calabria, il Santa Chiara, è off limits. Una interruzione ne delimita l’ingresso. Sembra che dentro si sia compiuto qualche crimine. Ma non è così, non in senso stretto almeno. La sala da centotrenta posti, nel cuore del centro storico di rende, è muta. Completamente. Niente Pasolini, niente Anderson, niente Fellini. Orazio Garofalo, il guardiano del faro, colui che aveva riacceso le luci di quello spazio abbandonato, richiamando la gente ad affollare quel piccolo gioiello, è sgomento.
I commissari di Rende, che hanno fatto sloggiare gli anziani dell’Auser prima, e minacciano di sgombrare il centro Sparrow adesso, gli hanno detto che lì non ci può più stare. «Mi hanno chiesto la licenza, ma è del 1925 ed è andata perduta – ci racconta. – Secondo loro non ho titolo a condurre la struttura. Invece c’è una delibera scaturita da un mio progetto».
La delibera c’è, eccome. È la numero 90 del 5 maggio del 2016 con cui la precedente amministrazione dava mandato a Orazio Garofalo, considerato il suo curriculum, di occuparsi a titolo gratuito della valorizzazione e programmazione del cinema. «Considerato che siamo convinti che la natura più potente del cinema abbia un’essenza popolare e sociale – scrive Garofalo nel progetto che gli riaprì le porte del Santa Chiara – come del resto ci ha insegnato la sua storia, a partire dall’istituzione dei nickelodeon americani che, all’inizio del ‘900, furono alla base del processo di designazione del cinema come “lingua universale”, useremo appunto questa convinzione come idea-guida di progetto. Tale “popolarità” del cinema, infatti, può essere uno strumento decisamente idoneo alla riqualificazione e al rilancio del centro storico di Rende». E così è stato.

Garofalo, oltre a una vastissima esperienza di settore, ha messo a disposizione del progetto una propria cineteca, strutturata in circa 10.500 titoli scelti, digitalizzata in un database capace di estrapolare rassegne su qualsivoglia argomento, sia storico che sociale, sia artistico che di costume.
Da anni, da esperto e cinefilo, per pura passione conduce un’attività di ripistaggio audio in lingua italiana di film disponibili nel mercato estero e per questo è stato in grado di proiettare ben 350 titoli in lingua italiana, restaurati in HD e Full-HD, posseduti in copia unica da lui stesso. Insomma era il caso di un connubio perfetto: un amatore e un cinema raro.
Il Santa Chiara, aveva ricevuto nel 1975 la medaglia d’oro ministeriale per i suoi 50 anni di attività ininterrotta. Nel 2015, a 90 anni dalla sua apertura, avevano lì programmato “La corazzata Potemkjin”, film che ha la stessa età della sala. Ma adesso il centenario sembra lontanissimo.
Una lunga storia d’amore
Per capire cosa lega Orazio Garofalo alla storia del cinema Santa Chiara, dobbiamo fare un passo indietro. Erano gli anni Venti, con precisione il 1924, quando finisce il sogno americano di Pietro Garofalo. Rientrato in Calabria, nel 1926, si intestardisce su un piccolo magazzino a Rende. Ci vuole fare un cinema, come li ha visti in America. Investe in un pezzo di convento, il Santa Chiara, e in un proiettore Pio Pion. All’epoca avanguardia purissima.
Gli anni passano, i posti in sala sempre quelli, centotrenta sedute e uno schermo su cui passavano i divi del muto. La gente si affollava, aspettava le pizze coi film che, a un certo punto, stentavano a varcare il confine con la Campania. Pietro, intanto ha tre figli, tra questi Italo. Sarà proprio suo figlio Orazio, a raccogliere il testimone.
Quando il cinema chiuse i battenti, negli anni Settanta, dovette scontare un lungo Limbo, che neppure l’accorata lettera di Giuseppe Tornatore, a cui Italo scrisse nel 1996 per cercare supporto, riuscì a interrompere. “La sala è la casa dei nostri sogni, anche dei poveri che una casa non ce l’hanno”, gli rispose il regista di “Nuovo cinema Paradiso”. Fu quella una sorta di benedizione, raccolta, anni dopo, siamo nel 2015, dalla giunta Manna che cristallizzò la riapertura nella delibera che, di fatto, riapriva le porte a un piccolo grande sogno, adesso un sogno interrotto.