Reset a Cosenza, i racconti di De Rose: «Prima collaboravo con Micetto, poi con il fratello Marco»
di Antonio Alizzi
Dopo lo show in aula di Carmine Cristini, è toccato al collaboratore di giustizia Vincenzo De Rose. Il pentito, condannato nel 2018 in via definitiva nell’ambito del processo Job Center, è stato sentito dal pubblico ministero Corrado Cubellotti in merito alle dinamiche criminali del gruppo Abbruzzese “Banana” di via Popilia.
Sebbene abbia dichiarato di aver fatto parte del clan “Rango-zingari“, De Rose non ha mai riportato condanne per associazione mafiosa né tantomeno è stato coinvolto nell’operazione antimafia denominata “Nuova Famiglia”, come ha ricordato in controesame l’avvocato Fiorella Bozzarello.
È noto che Vincenzo De Rose nella sua vita criminale abbia speso il tempo a spacciare droga soprattutto nella zona del centro storico di Cosenza. Lo dicono le sentenze, in particolare quella di Job Center, dove fu punito con oltre 8 anni di carcere in qualità di partecipe dell’associazione a delinquere dedita al narcotraffico.
Dopo aver avuto rapporti illeciti con Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”, il pentito ha dichiarato di aver collaborato con Marco Abbruzzese, fratello di “Claudio”, nella vendita delle sostanze stupefacenti. Prima si occupava di eroina, poi di marijuana, spiegando che la città bruzia era stata divisa in zone. Gli italiani, ad esempio, avevano la possibilità di vendere cocaina e non era ammesso il “sottobanco“. Chi “sgarrava” veniva punito: pestaggio o gambizzazione. Come nel caso di Salvatore Muoio.
De Rose ha detto che il gruppo degli “zingari” era composto all’epoca da «Marco Abbruzzese “Struzzo”, Luigi Abbruzzese “Pikachu”, Nicola Abbruzzese, Celestino Abbruzzese “Micetto”, Antonio Abruzzese, e gli altri erano in carcere». Ha spiegato di aver deciso di “saltare il fosso”, perché nel 2017 nacque la figlia. «Volevo cambiare stile di vita, in quel periodo ero libero», ha aggiunto il collaboratore.
A Cosenza, tuttavia, erano attivi altri gruppi. «Quello di Marco Perna, zona “San Vito”, e Mario Piromallo ma non sono a conoscenza dei canali di approvvigionamento». E ancora: «La zona di Cosenza Vecchia era solo nostra, parlo del gruppo di Micetto. Poi sono passato con il fratello Marco e gestivo la marijuana in tutta la zona del centro storico. Gli Abbruzzese si occupavano anche di usura ed estorsione. Una volta a Marco ho fatto prestare soldi a un ristoratore, mentre gli italiani facevano le estorsioni a Cosenza. Ricordo inoltre che Patitucci, quando era in carcere, sia al sottoscritto che a Noblea chiese di picchiare uno, ma non si fece nulla perché il giorno prima io andai ai domiciliari. Da Marco Abbruzzese inoltre prendevo anche armi che custodivano loro».
Poi una sfilza di domande su Di Puppo («so che si occupavano di droga a Rende ma non ho mai avuto a che fare con loro»), sulla confederazione («c’era un accordo sui reati da commettere per zone tra italiani e “zingari”»), su Francesco Stola («abbiamo fatto la scuola insieme e andavamo allo stadio, non ho mai avuto a che fare con lui dal punto di vista illecito»), su Gennaro Presta («l’ho conosciuto in carcere, si occupava di droga e riscuoteva il “pizzo”»), su Gianluca Maestri («lo conosco ma non ho avuto niente a che fare con lui, so che sta con gli “zingari”, e si occupava pure lui di droga»), su Denny Romano («non lo conosco ma so che sparò a “San Vito” nel campetto di Marco Perna perché aveva avuto una discussione per motivi sentimentali con Riccardo Gaglianese»), ancora su Marco Abbruzzese («aveva doti di ‘ndrangheta»), su Sergio Del Popolo («zio zio gli aveva prestato 10mila euro sotto strozzo e ogni mese mi dava 500 euro al mese, ma so anche che Del Popolo si ritirava tutti i soldi delle bancarelle alla Fiera di San Giuseppe») e su tanti altri imputati che avrebbero spacciato stupefacenti per conto degli Abbruzzese.
Il controesame
Nel controesame, il primo a porre domande è stato l’avvocato Maurizio Nucci, difensore di Cosimo Bevilacqua (classe 1995): «Ero in comune detenzione con lui, parlo del 2014-2015, nel carcere di Cosenza. Dove abitava? Allo stadio», descrivendo alcuni aspetti fisici: «Era alto 1,80, corporatura robusta, un puntino vicino l’occhio, non so se fosse un neo o un tatuaggio». Questa descrizione ha permesso di escludere che si tratti dell’imputato di Reset che al termine della seduta processuale, come vedremo, ha fatto dichiarazioni spontanee.
A seguire, l’avvocato Amelia Ferrari che ha messo in forte discussione la ricostruzione di Vincenzo De Rose, riguardo il periodo in cui ha avviato la sua collaborazione con la giustizia. «Dice di aver collaborato da libero, ne è sicuro?», ha domandato la penalista. «Intendevo che ero ai domiciliari», ma la penalista ha tirato fuori una carta dal fascicolo processuale del pentito che dimostra come sia stato arrestato il 14 agosto 2017 a seguito di indagini svolte dalla procura di Cosenza mentre il collaboratore era ai domiciliari per il processo Job Center, com’è emerso anche dai quesiti posti dall’avvocato Fiorella Bozzarello: «Ho fatto 180 giorni in carcere, da Cosenza mi hanno passato a Catanzaro e infine Rebibbia, poi sono uscito», ha affermato ma anche in questo caso l’avvocato Ferrari ha fatto notare che il teste in quel periodo non ha mai messo piede al “Cosmai”, essendo stato recluso nel penitenziario del capoluogo di regione.
L’avvocato Bozzarello, chiedendo lumi su Salvatore Ariello, ha fatto emergere come De Rose abbia soltanto visto l’imputato presente nel rito abbreviato dalle finestre del carcere di via Popilia o durante l’ora di passeggio a una distanza di circa 100 metri.
Le dichiarazioni spontanee di Cosimo Bevilacqua
Cosimo Bevilacqua, classe 1995, ha preso la parola a fine udienza: «Signor Presidente, sono nato e cresciuto a Cosenza, in via Popilia ultimo lotto, non ho mai abitato in via degli Stadi, non ho nei o tatuaggi al viso, fino al 1 settembre non ho mai avuto problemi con la giustizia, in quanto incensurato. Dal carcere Vibo mi hanno trasferito poi a Voghera fino al giorno in cui sono uscito sempre per Reset».
Processo “Reset”, rito ordinario: gli imputati
- Fabrizio Abate (difeso dall’avvocato Filippo Cinnante)
- Giovanni Abruzzese (difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Antonio Quintieri)
- Fiore Abbruzzese detto “Ninuzzo” (difeso dagli avvocati Mariarosa Bugliari e Antonio Quintieri)
- Franco Abbruzzese detto “a Brezza” o “Il Cantante” (difeso dall’avvocato Antonio Quintieri)
- Rosaria Abbruzzese (difesa dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante)
- Giovanni Aloise detto “mussu i ciuccio” (difeso dall’avvocato Gianpiero Calabese)
- Pierangelo Aloia (difeso dall’avvocato Giulio Tarsitano)
- Armando Antonucci detto il dottore (difeso dall’avvocato Enzo Belvedere)
- Rosina Arno (difesa dagli avvocati Luca Acciardi e Fiorella Bozzarello)
- Ariosto Artese (difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Giorgio Misasi)
- Rosario Aurello (difeso dall’avvocato Ferruccio Mariani)
- Danilo Bartucci (difeso dall’avvocato Giuseppe Manna)
- Giuseppe Bartucci (difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Nicola Carratelli) (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati)