Reset, su Umberto Di Puppo "non attualità" e assenza di gravità indiziaria
di Antonio Alizzi
Non attualità della condotta per il capo 1 e assenza di gravità indiziaria in ordine a una presunta estorsione. Sono queste le determinazioni a cui è giunto il Riesame di Catanzaro in ordine alla posizione di Umberto Di Puppo, già condannato per associazione mafiosa nell’ambito del procedimento penale “Vulpes“, una delle tante inchieste coordinate dalla Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta cosentina.
Le accuse a Umberto Di Puppo
Umberto Di Puppo, imputato nel rito abbreviato di “Reset“, era stato arrestato il 1 settembre 2022 con l’accusa di far parte della presunta confederazione mafiosa cosentina che, secondo i pubblici ministeri antimafia Corrado Cubellotti e Vito Valerio, sarebbe diretta dal boss di Cosenza Francesco Patitucci. A Di Puppo, inoltre, è stata contestata anche una presunta estorsione ai danni del titolare di un noto e affollato bar di Cosenza in concorso con altri soggetti tra i quali proprio Patitucci. Fin qui il teorema accusatorio.
Il ricorso al Riesame di Catanzaro
La difesa di Umberto Di Puppo, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluca Garritano e Angelo Pugliese, ha sostenuto il contrario sia davanti alla Corte di Cassazione, che aveva disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza di conferma del Riesame di Catanzaro, che dinanzi al collegio giudicante cautelare presieduto dal presidente Emma Sommi. In tal senso, il tribunale del Riesame, in nuova composizione, ha condiviso le censure difensive rispetto al narrato della Dda di Catanzaro.
Di Puppo e la presunta confederazione
«Il punto nodale posto all’attenzione del collegio è il ruolo rivestito da Umberto Di Puppo nella consorteria mafiosa di cui al capo 1, nei termini soggettivi delineati nel capo di incolpazione provvisoria, ovvero sia come organizzatore e promotore dell’associazione inserito nell’articolazione territoriale e funzionale operante nella zona di Rende sotto la direzione» del fratello Michele Di Puppo, «con contestazione dal 2012 con attualità della condotta», scrivono i giudici nel provvedimento emesso nei giorni scorsi.
Il Collegio ha evidenziato nel corso dell’ordinanza che «i principali indizi di colpevolezza ai danni» dell’odierno imputato «si incentrano sulle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia». Il punto critico su cui si fonda la sentenza di rinvio della Corte di Cassazione «è l’individuazione di condotte specifiche attribuibili» a Umberto Di Puppo «nel lasso temporale successivo a quello coperto da giudicato di condanna per associazione mafiosa nell’ambito del procedimento “Vulpes” in cui egli è stato condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c. p. con condotta commessa dal 2008 al 11 marzo del 2013».
Cosa dicono i pentiti
Uno dei pentiti che ha riferito su Umberto Di Puppo è senza dubbio Adolfo Foggetti, il quale ha parlato di un presunto summit mafioso svoltosi nel 2011 «a cui avrebbe partecipato anche Di Puppo». Nella riunione con altri pregiudicati si sarebbe parlato dell’attività da sottoporre ad estorsione. «Nel corso della riunione nella villetta di Città Duemila – aveva detto il “Biondo” – tutti i presenti notavano che una facoltosa attività imprenditoriale», cioè il bar finito nel mirino dei clan, «non era presente nella lista delle vittime di estorsione, pertanto, io e Luciano Impieri ci siamo recati al Bar, ove abbiamo parlato» con il proprietario «chiedendogli un pensiero per i carcerati».
Il collaboratore di giustizia ha aggiunto di aver «fatto presente questa circostanza a Rango col quale ci siamo recati al cospetto di Rinaldo Gentile e Umberto Di Puppo, i quali convenivano con noi del fatto che Patitucci aveva commesso una trascuranza appropriandosi del denaro di questa estorsione. Rinaldo Gentile e Umberto Di Puppo – ha aggiunto Adolfo Foggetti – ci dicevano pure di presentarci dal Bar pretendendo il pagamento di una somma a titolo estorsivo suggerendo di dirgli che il denaro consegnato a Patitucci era stato consegnato, per così dire, a titolo personale».
In riferimento agli altri pentiti, il Riesame ha osservato che, «Silvio Gioia afferma di fatti riferibili al periodo coperto dal giudicato, riferendo in particolare delle frequentazioni del prevenuto con soggetti ritenuti affiliati alla medesima cosca», mentre «Giuseppe Montemurro afferma che dopo l’arresto di Patitucci, i proventi derivanti dalla gestione dei servizi di security venivano consegnati a Di Puppo, quale uno dei referenti della criminalità organizzata cosentina», ovvero «fino al 2012». Infine, i giudici cautelari hanno menzionato anche Daniele Lamanna, il quale «discorre invece delle imposizioni nel settore delle pescherie e dell’attività di spaccio di stupefacenti, riferendo altresì di un incontro avvenuto con l’allora latitante Ettore Lanzino nell’ottica di favorire la sua latitanza». Senza trascurare ciò che avrebbe detto Luca Pellicori, altro pentito, in relazione al settore degli stupefacenti.
La linea difensiva di Umberto Di Puppo
Gli avvocati Angelo Pugliese e Gianluca Garritano, in una memoria depositata al collegio, hanno evidenziato una serie di date che fanno emergere come non vi siano riscontri al narrato reso dai collaboratori, a maggior ragione in ordine al verbale effettuato da Giuseppe Zaffonte. «Le uniche dichiarazioni che si riferiscono a un periodo successivo sono quelle di Zaffonte che, nondimeno, rimangono isolate per il periodo preso in contestazione nel capo 1», ovvero la presunta confederazione mafiosa cosentina. Pertanto, secondo il Riesame di Catanzaro, «non sussistono elementi idonei ad attualizzare la condotta associativa per il periodo preso in considerazione nel capo d’imputazione, giacché le dichiarazioni, quand’anche riferibili al periodo non coperto dal giudicato, non sono assistite da riscontri esterni».
Per quanto riguarda, la presunta estorsione, che secondo Foggetti e Impieri sarebbe avvenuta nel 2013-2014, il Riesame ha ritenuto che Di Puppo «avrebbe partecipato alla fase ideativa nell’anno 2011, salvo poi il gruppo, per il tramite dei collaboratori testé citati, scoprire solo nel 2013 che il pizzo era rivolto a Patitucci, dato non conosciuto dagli altri sodali». Adolfo Foggetti avrebbe quindi scoperto questo dato nel 2013 andandolo a riferire, tra gli altri, «a Di Puppo, che riferiva» a sua volta «che costui», ovvero la vittima, sarebbe stato estorto «da Patitucci» a titolo personale.
In definitiva, «occorre considerare – conclude il Riesame – che le dichiarazioni dei collaboratori convergono nel delineare l’attività commerciale in oggetto come vittima di pretese estorsive, dapprima da Patitucci e successivamente dal clan degli “zingari-italiani“; nondimeno la partecipazione alla fase ideativa del ricorrente è riferita solo da Foggetti e non anche, ad esempio, da Impieri, che avrebbe fornito un riscontro rilevante alla prova indiziaria della condotta in contestazione, considerato che anche quest’ultimo si è accreditato come esecutore materiale. In assenza di altri elementi che corroborino tale assunto, la partecipazione del ricorrente alla condotta» relativa alla presunta estorsione «non raggiunge la soglia della gravità indiziaria». Umberto Di Puppo è a piede libero per “Reset“, ma attualmente si trova ai domiciliari per una presunta vicenda di stalking.
Processo abbreviato “Reset”, le richieste della Dda
- Antonio Abbruzzese (classe 1975), difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Cesare Badolato CHIESTI 7 anni e 6 mesi
- Antonio Abruzzese alias Strusciatappine, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 14 anni
- Antonio Abbruzzese (classe 1984) difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante) CHIESTI 20 anni
- Celestino Abbruzzese, difeso dall’avvocato Simona Celebre CHIESTI 6 anni
- Fioravante Abbruzzese, difeso dall’avvocato Cesare Badolato CHIESTI 14 anni
- Francesco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri CHIESTI 12 anni
- Luigi Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Marco Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Nicola Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Rocco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 12 anni
- Saverio Abbruzzese, difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Matteo Cristiani CHIESTI 10 anni e 8 mesi
- Gianluca Alimena, difeso dall’avvocato Emiliano Iaquinta CHIESTI 2 anni
- Claudio Alushi, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri CHIESTI 18 anni
- Salvatore Ariello, difeso dall’avvocato Fiorella Bozzarello CHIESTI 20 anni
- Luigi Avolio, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Raffaele Brescia CHIESTI 10 anni e 8 mesi
- Ivan Barone, difeso dall’avvocato Rosa Pandalone CHIESTI 8 anni
- Giuseppe Belmonte, difeso dagli avvocati Filippo Cinnante e Gaetano Maria Bernaudo CHIESTI 8 anni e 2 mesi (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati del processo abbreviato di “Reset”)