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05/05/2023 ore 08.30
Cronaca

Roberto Porcaro: «A Cosenza discorsi a metà non se ne lasciano» | AUDIO

La telefonata con richiesta estorsiva attribuita al futuro boss oggi pentito nel 2010, quand'era ancora un giovane racketeer del clan Lanzino
di Marco Cribari

Alterare la propria voce con un farmaco in modo da falsare un riconoscimento fonico che sembrava pressoché scontato. È l’impresa riuscita nel 2013 a Roberto Porcaro, il nuovo pentito della ‘ndrangheta cosentina. I fatti si riferiscono a tre anni prima, al settembre del 2010, quando un imprenditore impegnato nei lavori di ammodernamento dell’acquedotto cosentino, riceve una telefonata sul suo cellulare. La chiamata parte da una cabina pubblica di viale Cosmai e il messaggio che l’anonimo telefonista gli recapita è minaccioso e al tempo stesso identitario, suona come una rivendicazione: «Ingegné, a Cosenza discorsi a metà non se ne lasciano». L’uomo si esprime in dialetto e pochi secondi dopo si produce in un secondo squillo per ribadire il concetto: «Sbrigatevi a mandare qualcuno qua perché a Cosenza discorsi a metà non se ne lasciano».

La Squadra mobile, che all’epoca tiene sotto controllo l’imprenditore, non ha dubbi: la voce corrisponde a quella di Roberto Porcaro, allora semplice affiliato del clan Lanzino. Gli investigatori in quei giorni guidati da Fabio Ciccimarra si dicono certi della corrispondenza perché alcuni di loro conoscono il soggetto in questione, hanno parlato con lui personalmente. In più, il suo modo di esprimersi è noto a tutto l’ufficio, dal momento che proprio la Mobile lo ha intercettato da febbraio ad aprile di quell’anno. Sembra un caso chiuso già in partenza, ma qualche anno dopo in tribunale emergerà una verità diversa. Porcaro, infatti, sarà assolto da quella tentata estorsione con l’aggravante mafiosa perché i periti non riterranno la sua voce coincidente con quella del telefonista di viale Cosmai.

Il processo finisce in cavalleria, ma nel 2014, sarà il neopentito Mattia Pulicanò a tornare sulla vicenda, svelandone i presunti retroscena. Pulicanò, infatti, riferisce di aver appreso come Porcaro, detenuto in attesa di giudizio, fosse riuscito a farsi recapitare in carcere quel farmaco miracoloso, riuscendo così a trarre in inganno consulenti tecnici e giudici. Le sue dichiarazioni restano lì per anni, salvo poi tornare d’attualità in tempi più recenti. Negli atti dell’operazione “Reset”, infatti, c’è un’intercettazione ambientale che riporta all’attualità quella sua assoluzione rocambolesca di qualche anno prima.

È il 2017, la Dda ha appena eseguito alcune misure cautelari relative a un’indagine sul carcere di Cosenza. Alcuni poliziotti penitenziari sono sospettati di avere favorito i boss ristretti a via Popilia, veicolando i loro pizzini all’esterno dell’istituto con tanto di merce proibita – liquori, profumi, cellulari – introdotta nelle loro celle. Porcaro legge ad alta voce un articolo di stampa relativo a quell’inchiesta, ignorando di avere una cimice in casa. Cita un passo dell’articolo – «In un’occasione un detenuto si è fatto portare un farmaco…» – poi batte le mani incredulo e riprende la lettura: «Per alterare il timbro della voce». A quel punto si rivolge alla moglie: «A me! Adesso ti faccio vedere, guarda, vieni qua!». Per gli investigatori in ascolto è un’ammissione, ma tant’è: è solo un altro “discorso a metà”, uno dei tanti. Che ora da pentito potrà portare a compimento.