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28/12/2025 ore 18.45
Cronaca

Trasferimento di cavalli da Campo Calabro a Castrovillari, definitive le condanne per tentata estorsione mafiosa

Confermata la responsabilità penale per Bevilacqua e Rubino: nessuna falla nella sentenza d’appello di Catanzaro

di Antonio Alizzi

La Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti da Leonardo Bevilacqua (due anni e sei mesi) e Gaetano Rubino (un anno e 8 mesi, pena sospesa) contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro che, il 18 marzo 2025, aveva confermato le condanne per concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Con la decisione depositata all’esito dell’udienza del 25 novembre 2025, la seconda sezione penale ha ritenuto manifestamente infondate tutte le doglianze difensive, ribadendo i limiti del giudizio di legittimità e la solidità dell’impianto motivazionale dei giudici di merito.

Come nasce la vicenda giudiziaria

La vicenda giudiziaria nasce da un "messaggio" inviato dall'imputato Dario Arcudi, originario di Campo Calabro, alla persona offesa. Gaetano Rubino avrebbe fatto da tramite per recapitare il "pizzino mafioso", grazie al rapporto di conoscenza con Leonardo Bevilacqua, ritenuto vicino agli "zingari" di Cosenza. Quest'ultimo, a sua volta, era stato contattato da Francesco Paiano di Oppido Mamertina. Arcudi, volendo salvare la sua attività imprenditoriale, aveva esclamato che «i ciucci di Campo Calabro non si toccano».

Le indagini

Le indagini della Squadra Mobile di Cosenza, avevano permesso di confermare l’esistenza di una sequela di contatti avvenuti nel periodo incriminato (Arcudi-Paiano, Paiano-Bevilacqua, Bevilacqua-Rubino). L'inchiesta inoltre aveva certificato i rapporti di conoscenza pregressa fra le tre diverse coppie, documentando altri tentativi di boicottaggio del trasloco degli animali operati da Arcudi. Non a caso, quest’ultimo si sarebbe rivolto all’uomo incaricato di trasportare i cavalli a Cosenza, convincendolo a sottrarsi a quel compito. E poi, quando l’imprenditore parte offesa in questa vicenda aveva deciso di rinunciare all’incarico per questione personali, sempre lui sarebbe arrivato a contattare il nuovo custode per chiedergli di non immischiarsi nella vicenda.

Il ricordo delle difese

Nel ricorso presentato nell’interesse di Bevilacqua, la difesa aveva contestato la ricostruzione della responsabilità, sostenendo che la Corte d’appello si fosse limitata a riprodurre la motivazione di primo grado senza confrontarsi con le specifiche censure sollevate. Aveva inoltre criticato il riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso, ritenuta priva di un’adeguata individualizzazione della condotta, e l’applicazione della recidiva, fondata – a dire del ricorrente – su precedenti risalenti nel tempo.

La Cassazione ha però rilevato come tali doglianze si risolvessero nella mera riproposizione delle stesse argomentazioni già esaminate e respinte in appello. La sentenza impugnata, hanno osservato i giudici di legittimità, si colloca in piena continuità con quella di primo grado, formando con essa un unico corpo motivazionale. L’affermazione di responsabilità di Bevilacqua poggia su un quadro probatorio articolato, che comprende le conversazioni intercettate, riscontri documentali e dichiarazioni valutate in modo coerente e logico. Quanto all’aggravante del metodo mafioso, la Corte territoriale ha chiaramente evidenziato come la minaccia fosse veicolata proprio attraverso il richiamo alla figura di Bevilacqua, elemento che ha inciso in modo determinante sulla percezione intimidatoria della vittima.

Anche la censura sulla recidiva è stata giudicata inammissibile. La Cassazione ha sottolineato che i giudici di merito non si sono limitati a richiamare meccanicamente i precedenti penali, ma hanno valorizzato la complessiva personalità dell’imputato e la sua pervicacia nel commettere reati della stessa indole, elementi idonei a giustificare l’aumento di pena.

Analoghe conclusioni sono state raggiunte per il ricorso di Gaetano Rubino. La difesa aveva sostenuto l’assenza del dolo estorsivo, prospettando una lettura “amichevole” dei rapporti con la persona offesa e ridimensionando il significato delle frasi ritenute minacciose. Anche in questo caso, la Suprema Corte ha rilevato come il ricorso mirasse a una diversa ricostruzione dei fatti, estranea al perimetro del giudizio di legittimità. I giudici di merito hanno invece spiegato in modo puntuale che Rubino era pienamente consapevole del carattere illecito della propria condotta, avendo egli stesso veicolato un messaggio implicitamente minatorio, fondato sul richiamo alla protezione garantita da Bevilacqua e al suo contesto di appartenenza.

Particolarmente significativa è la conferma, da parte della Cassazione, dei criteri applicativi dell’aggravante del metodo mafioso. La Corte ribadisce che tale aggravante può sussistere anche in assenza di una struttura mafiosa formalmente organizzata, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano forme e modalità tipicamente mafiose, idonee a incutere timore e a coartare la volontà della vittima. Nel caso in esame, il contenuto del messaggio e il contesto ambientale hanno giustificato pienamente il riconoscimento dell’aggravante.

Con la declaratoria di inammissibilità, la Corte ha condannato entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di 3mila euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende.