Tentato omicidio a Firmo, assolto nell'appello bis Mario Basile
La Corte d’Appello di Catanzaro, presieduta dal presidente Antonio Battaglia (giudici a latere Abigail Mellace e Barbara Saccà), ha assolto il 43enne Mario Basile dal reato di tentato omicidio avvenuto nel 2010 a Firmo. I giudici di secondo grado, dopo il rinvio con annullamento della Cassazione, avevano riaperto l’istruttoria dibattimentale permettendo alla difesa, rappresentata dagli avvocati Vittorio Franco e Santo Ricetta, di portare nuove prove in favore dell’imputato. Basile infatti nel primo processo di secondo grado era stato condannato a 9 anni di carcere.
D’altronde, la Cassazione aveva pienamente condiviso le censure difensive. Per gli ermellini i giudici di merito non avevano prestato credito «all’alibi fornito dall’imputato che aveva riferito di essersi trovato nelle ore in cui la donna era stata aggredita nella sua abitazione di Firmo». Basile si sarebbe trovato «nella città di Cosenza, distante sessanta chilometri, in compagnia di Antonio Prioli e Paolo Viafora».
Tentato omicidio a Firmo, le censure difensive
«La difesa – si legge nel provvedimento di rinvio della Cassazione – aveva avanzato alla Corte di appello la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ai sensi dell’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., evidenziando la sopravvenienza di una prova decisiva a discarico, costituita dalla copia del file audio, rilasciata dalla cancelleria dopo il deposito della sentenza del Tribunale, riproducente la registrazione della deposizione dal testimone Antonio Prioli, trascritta nel verbale di udienza del 6 luglio 2017».
«Secondo la prospettazione difensiva tale documento dimostrava la presenza di un errore macroscopico nella trascrizione del verbale dell’esame dibattimentale di Prioli. Risultava trascritta l’espressione “Mi ha bussato la signora che l’ho aggredita” al posto di “Mi ha accusato la signora che l’ho aggredita”. L’errore, ove accertato, avrebbe scardinato il percorso argomentativo seguito dal Tribunale per considerare falso l’alibi fornito dall’imputato perché imperniato sulla frase mai pronunciata da Prioli. La Corte avrebbe dovuto, quindi, acquisire il supporto contenente la fonoregistrazione allegato all’atto di appello, disponendone un nuova trascrizione del contenuto o disporre una perizia volta ad accertare il reale contenuto della deposizione testimoniale».
Gli altri motivi, inoltre, riguardavano l’omessa rinnovazione dell’istruttoria con l’assunzione testimoniale di Paolo Viafora, i presunti vizi di motivazione con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla donna aggredita e che la stessa non fosse in pericolo di vita per la ferita al cuoio capelluto, espressamente definitiva dal dottor, «non mortale». Per Mario Basile l’incubo giudiziario è finalmente terminato.