Longobardi, condanna definitiva per l’uomo che tentò di uccidere il fratello
Il fatto avvenne il 6 aprile 2023 nella cittadina tirrenica. La vittima fu colpita ripetutamente al capo e al volto con un oggetto contundente
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Renato Pinnola, condannato in primo e secondo grado per il tentato omicidio del fratello Giulio Riccardo, fatto avvenuto il 6 aprile 2023 a Longobardi. La sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Catanzaro aveva confermato la condanna a sei anni di reclusione emessa dal Gup del Tribunale di Paola, al termine del giudizio abbreviato.
Secondo l’accusa, Renato Pinnola avrebbe tentato di uccidere il fratello colpendolo ripetutamente al capo e al volto con un oggetto contundente e successivamente tentando di soffocarlo con una busta di plastica trasparente, senza riuscire nell’intento per il sopraggiungere di un passante.
Il ricorrente, assistito dall’avvocato Rosetta Anna Mancuso, aveva contestato la qualificazione del fatto come tentato omicidio, sostenendo la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione dei giudici di merito. La difesa aveva evidenziato, tra l’altro, che l’arma indicata dalla persona offesa non era mai stata ritrovata e che le lesioni riportate erano lacero-contuse, compatibili con un ferimento non letale. Inoltre, si sosteneva che il presunto tentativo di soffocamento non fosse provato, in quanto il sacchetto intriso di sangue non era stato analizzato per impronte o gruppo sanguigno.
Il Sostituto Procuratore Generale Alfredo Pompeo Viola aveva chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ritenendo infondate le doglianze avanzate dalla difesa.
La Cassazione ha confermato che le critiche mosse dalla difesa, incentrate sulla valutazione del compendio probatorio e sulle modalità di ricostruzione dell’aggressione, non potevano essere riesaminate in sede di legittimità. La Corte ha rilevato che le sentenze di merito avevano fornito motivazioni adeguate, coerenti con i dati probatori disponibili: le lesioni sul capo e sulla parte superiore del corpo della vittima erano compatibili con l’uso di un oggetto contundente e la dinamica descritta dall’accusa, inclusa l’azione del sacchetto di plastica, era sufficientemente documentata.
La Suprema Corte ha inoltre escluso che l’assenza di impronte digitali sulla busta o il mancato rinvenimento del punteruolo potesse invalidare la ricostruzione dei fatti. Anche le dichiarazioni di un testimone, che aveva assistito alla colluttazione, risultavano coerenti con la motivazione dei giudici.