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19/07/2024 ore 08.30
Cronaca

Testimone per sbaglio, la maledizione doppia del meccanico di Cassano

Tredici anni prima di essere coinvolto a sua insaputa nel duplice delitto della masseria, Paolo Cantore è stato anche testimone della morte di Fazio Cirolla
di Marco Cribari

Supertestimone di un duplice omicidio. Supertestimone per caso, anzi per sbaglio. Una qualifica a cui Paolo Cantore, di professione meccanico, avrebbe rinunciato volentieri, ma tant’è: è questo ruolo che il destino aveva in serbo per lui il 4 aprile del 2022, giorno in cui presta la sua auto a Francesco Faillace, ignaro dell’utilizzo che, poche ore dopo, sarà fatto di quel veicolo. La cronaca, infatti, racconta che quel fuoristrada Suzuki, all’insaputa del proprietario, farà parte del corteo, motorizzato e lugubre, che, quel pomeriggio, scorta i corpi senza vita di Maurizio Scorza e della sua compagna Hanene Hedhli. Il resto è attualità, con Faillace che, a un anno e mezzo da quei fatti, già detenuto per altro, riceve dietro le sbarre un’ordinanza di custodia in carcere proprio per l’eccidio compiuto nella masseria di Francesco Adduci.

Supertestimone per sbaglio, un abito che, suo malgrado, lo sfortunato Cantore si ritrova cucito addosso per la seconda volta. Lo aveva già indossato tredici anni prima, per prendere parte a un altro spettacolo di orrore e disperazione. E se nella brutta vicenda Scorza-Hedhli, la morte gli è passata di fianco, senza accorgersi di lui, nell’altrettanto triste caso di Fazio Cirolla, l’ha vista direttamente in faccia.

Cantore, infatti, era presente nell’autosalone di Salvatore Lione il 4 luglio del 2009, data spartiacque nella storia della criminalità sibarita. All’epoca, il titolare di quella rivendita è un alto gerarca del clan Forastefano che le congiunture giudiziarie del momento catapultano al vertice della cosca. La sua è una leadership controversa, che suscita dubbi e contrarietà all’interno della stessa organizzazione. Che a un certo punto, decide di sbarazzarsi di lui. Quel giorno, Lione e Cantore si trovano all’interno della concessionaria. Con loro c’è anche Cirolla, operaio 42enne, accompagnato dal figlioletto.  Dall’ampia vetrata della stanza che li accoglie, assistono in diretta all’arrivo del commando.

Un’automobile si ferma nel parcheggio e due uomini incappucciati e in tenuta paramilitare, scendono dall’abitacolo e avanzano minacciosi verso di loro. La paura mette le ali a Lione, che prima si getta da una finestra e poi si lancia nei campi circostanti, in una corsa a perdifiato che per lui vuol dire sopravvivenza. Riuscirà a sfuggire ai sicari. Cantore lo imita in tutto e per tutto: si cala giù dall’abbaino mette in salvo la pelle. Nella stanza resta solo Fazio insieme al bimbo. Non ha nulla da temere, proprio come Cantore, ma la sua reazione è meno istintiva. Resta lì dov’è. Gli assassini cercano Lione, ma quando irrompono nella concessionaria trovano solo padre e figlio.

Cosa sia scattato in quel momento nelle loro teste, quindici anni dopo, non è dato ancora saperlo con certezza. Forse scambiano il povero Cirolla per Lione, unico bersaglio della spedizione omicida. O forse scaricano su di lui la frustrazione per il fallimento della missione. Fatto sta che lo uccidono con tre proiettili ancora oggi in cerca d’autore. Nel 2017, nonostante la collaborazione con la giustizia di Salvatore Lione, tutte le persone ritenute coinvolte nell’omicidio dell’operaio 42enne – Leonardo Forastefano come mandante, Saverio Lento e Archentino Pesce in qualità di esecutori – saranno assolti in via definitiva in Cassazione dopo le condanne riportate nei due precedenti gradi di giudizio.

A quel giorno da tregenda e alla malasorte evitata per un pelo, ripensa Cantore l’11 novembre del 2022, intercettato mentre sfoglia la margherita dei tormenti che lo assillano in quelle ore: raccontare agli investigatori tutto ciò che sa sui fatti del 4 aprile, mettendo così a rischio la propria vita, o fare il pesce in barile con il risultato subire conseguenze giudiziarie come già capitato ad Adduci. Sceglierà di «fare il nome», di confermare agli inquirenti ciò che loro già sanno da alcune settimane, ma in quei momenti concitati accarezza un’altra idea: la fuga. «Dopo il nome, ce ne dobbiamo andare da qua» ragiona con i familiari, «altrimenti faccio la fine di u Liune».