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27/06/2023 ore 20.00
Cronaca

Tre pentiti di Cosenza tratteggiano il profilo del boss Domenico "Mico" Megna

Daniele Lamanna, Luciano Impieri e Giuseppe Zaffonte raccontano la figura criminale del boss di Papanice interessato alla Sila cosentina
di Antonio Alizzi

Uno dei temi ormai più frequenti nelle inchieste antimafia calabresi è la lotta territoriale tra le cosche cosentine e quelle crotonesi pronte a contendersi la Sila. Un argomento già sviscerato a livello dibattimentale nelle indagini “Six Towns” e “Stige“, ma che ritorna d’attualità anche in “Glicine“, la nuova indagine della Dda di Catanzaro in provincia di Crotone. La figura apicale, dal punto di vista mafioso, è senza dubbio quella del boss di Papanice Domenico “Mico” Megna, il cui valore criminale è stato già riconosciuto dalla giustizia italiana attraverso il racconto dei pentiti. Tra questi vi sono anche quelli cosentini: Daniele Lamanna, Luciano Impieri e Giuseppe Zaffonte.

Lamanna svela l’affare degli appalti boschivi

Il gip di Catanzaro Antonio Battaglia nell’ordinanza di custodia cautelare, evidenzia come Daniele Lamanna, esecutore materiale dell’omicidio di Luca Bruni, abbia riferito del lucroso business degli appalti boschivi, durante un comune periodo di detenzione risalente al 2011. Lamanna ai magistrati antimafia rivelò di aver chiesto l’intercessione di Megna per procurarsi un incontro con i maggiorenti del territorio crotonese, ottenendo l’indicazione del soggetto al quale poter effettivamente rivolgersi e che egli incontrava con successo una volta uscito dal carcere.

«All’alta sicurezza a Cosenza – riferì Lamanna alla Dda di Catanzaro – oltre a me c’era Mario Gatto che, parimenti, era nelle condizioni di parlare con Mico Megna. Sempre nel corso del 2011, sopraggiunse Mario Piromallo che venne allocato alla media sicurezza e ci portò un’imbasciata importante: Patitucci, Gentile, D’Ambrosio, Lanzino e Presta lo avevano incaricato di dire, per tramite mio e di Gatto, a Mico Megna che doveva lasciare a noi cosentini l’area di San Giovanni in Fiore perché era in provincia di Cosenza per cui doveva essere controllata dalla cosca confederata cosentina».

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«In particolare – proseguì Lamanna – i maggiorenti della cosca confederata cosentina si erano avveduti del fatto che isolitani, petilini e papaniciari controllavano le aste boschive a San Giovanni in Fiore e luoghi viciniori senza darci conto. Mico Megna disse a me e a Gatto che avrebbe dato ordine a “U Monaco” di Campana che evidentemente gestiva l’affare dei boschi per suo conto, di rispettare noi cosentini e diceva pure che avrebbe organizzato un incontro tra i cosentini e “U Monaco“. Quando uscii dal carcere venni a lungo impegnato nelle vicende relative all’omicidio di Luca Bruni, mi rioccupai di questa vicenda nel febbraio-marzo del 2012, ove constatai che i cosentini non avevano incontrato “u monaco“».

«Tramite Umberto Di Puppo, che a sua volta poteva contare sui rossanesi ed in particolare su Carmine Morello e tale Sebastiano, incontrai “u monaco” a Rende. Incontrai “u monaco” – aggiunse Lamanna – insieme ad Adolfo Foggetti, ”u monaco” si limitò a dire che non aveva incontrato i cosentini che non era riuscito a contattare sebbene non negasse di avere ricevuto l’ordine di Mico Megna negli stessi termini da me conosciuti».

«Pertanto organizzammo – concluse Lamanna – un primo incontro che si svolse lungo la strada che porta al Lago Ampollino, le coordinate di questo posto, una vecchia baita, erano state fornite dai due rossanesi appena sopra nominati a D’Ambrosio. Nel corso di questo primo incontro ricordo la partecipazione oltre che di noi cosentini di un tale Iona, non ne ricordo il nome, di tale “Topolino” che ricordo essere su una sedia a rotelle e di una persona alta, robusta, dalla carnagione scura, stempiato, oltre al “Monaco“».
Luciano Impieri, invece, ha riferito della sua affiliazione e del successivo conferimento del grado di “sgarro” risalente al 2013 in cui riportava in copiata, tra gli altri, proprio la persona di Domenico Megna.

L’estorsione da fare a Lorica

Il terzo pentito cosentino, Giuseppe Zaffonte, nell’interrogatorio reso il 22 gennaio 2021, parlando dell’esistenza della cosca di ‘ndrangheta dei papaniciari precisò di aver avuto a che fare con Domenico “Mico” Megna in persona, circa due anni prima dell’avvio della sua collaborazione, per una faccenda estorsiva che vedeva come vittime i genitori della funivia di Lorica. Secondo quanto dichiarato da Zaffonte, gli esponenti della ‘ndrangheta cosentina avrebbero voluto perpetrare un’estorsione in danno dei gestori della funivia, ma “Mico” Megna, in una serie di incontri che sarebbero avvenuti a Papanice con lo stesso Zaffonte e Mario “Renato” Piromallo, avrebbe messo in chiaro che la funivia era già oggetto delle pretese estorsive dei papaniciari e pertanto aveva stabilito che, allorquando tali proventi si fossero realizzati, avrebbe omaggiato i cosentini con un “regalo“.

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«Questo ragazzo Andrea mi porta da Mico Megna – dichiarò Zaffonte – mi presenta insomma, ha capito chi ero, il giorno dopo ho portato l’imbasciata di nuovo a Cosenza e poi siamo saliti insieme al cosentino “Renato” Piromalli da Mico Megna. In questa situazione quando siamo saliti, hanno parlato di questa estorsione della funivia perché i cosentini erano andati a chiedere l’estorsione a questa funivia e lui diceva che erano già a posto con loro quelli della funivia e che, nel momento in cui l’avrebbero pagati, gli avrebbe mandato lui un pensiero, un regalo».