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19/08/2023 ore 08.30
Cronaca

Usura a Cosenza, Porcaro: «Consentita solo a chi fa parte della 'ndrangheta»

L'ex "reggente" degli italiani dedica un lungo capitolo alla gestione delle condotte delittuose di tipo usuraio, spiegando il modus operandi dei clan cosentini
di Antonio Alizzi

Negli ultimi anni la Dda di Catanzaro è riuscita a far emergere, attraverso le sue inchieste, diversi casi di usura ai danni di imprenditori, commercianti o semplici cittadini. Il filone investigativo più consistente da questo punto di vista, è senza dubbio quello che porta al processo “Testa di Serpente“, dove tra il rito abbreviato (ormai definitivo) e il rito ordinario sono fioccate condanne molto pesanti. Ma c’è ancora tanto da scoprire, come si evince dall’inchiesta “Reset“, e soprattutto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, come nel caso di Roberto Porcaro, di cui stiamo raccontando ogni cosa che ha riferito ai magistrati antimafia.

L’ex “reggente” degli italiani ha spiegato ai pubblici ministeri Cubellotti e Valerio chi poteva fare usura a Cosenza. «Per come mi chiedete l’attività di usura o comunque di esercizio abusivo del credito poteva essere svolta direttamente da noi esponenti della consorteria criminale egemoni sul territorio, da soggetti da noi autorizzati a svolgerla o che comunque erano in qualche modo a noi riconducibili o collegati» afferma Porcaro.

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«Al di fuori di queste regole non era consentito effettuale prestiti di denaro a scopo lucrativo» aggiunge il pentito, «in tal senso voglio far comprendere anche qual era il tipo di intervento che noi effettuavamo laddove venivamo a conoscenza del fatto che un soggetto non autorizzato aveva prestato denaro ad usura», ovvero «l’intervento consisteva in ciò: individuate la parte del rapporto – debitore e creditore – avvicinavamo il debitore, gli scontavamo una parte del debito contratto con il suo originario creditore pretendendo, ad esempio, la consegna della metà» spiega Porcaro.

«Quindi avvicinavamo il creditore e gli dicevamo che non aveva più pretese da avanzare verso la persona a cui aveva prestato del denaro. In questo modo ottenevamo il triplice risultato. Guadagnavamo noi senza aver investito nulla e senza particolari interventi violenti o invasivi; il debitore originario – conclude il pentito – era soddisfatto perché di fatto vedeva dimezzata la sua originaria esposizione debitoria ed infine dissuadevamo non solo colui che aveva effettuato il prestito senza autorizzazione ma, a titolo monitorio, tutti coloro che in futuro avessero maturato l’intenzione di prendere denaro ad usura senza il nostro bene placido».