Cetraro, usura e minacce: perché gli atti sono passati alla Dda di Catanzaro
Confermata la custodia cautelare per Pinto e Maritato. Il pm Anna Chiara Reale ha rafforzato le accuse ma il Gip Giacchetti ha escluso l’agevolazione mafiosa riconoscendo il metodo
L’inchiesta sull’usura a Cetraro, che vede coinvolti Franco Pinto e Cinzia Maritato, si arricchisce di nuovi passaggi giudiziari. Il caso nasce dal rapporto della Guardia di Finanza di Cetraro del 17 aprile 2025 e dalle successive dichiarazioni dell’imprenditore Francesco Occhiuzzi, titolare di una ditta di intrattenimento e spettacolo e responsabile del Palinsesto televisivo di LaC Tv.
Pinto e Maritato erano stati sottoposti a misura cautelare dal gip di Paola ma le ulteriori dichiarazioni della persona offesa, rese il 2 maggio e il 10 giugno 2025, hanno spinto il procuratore Domenico Fiordalisi, a trasmettere gli atti alla Dda di Catanzaro, per la rivalutazione del quadro indiziario con l’inserimento dell’aggravante del metodo mafioso.
Il racconto della vittima
La parte offesa ha ammesso di essere caduto in una spirale usuraria a partire dal 1998, con un debito originario di 21mila euro che nel tempo sarebbe lievitato fino a 100mila euro, versando oltre 1,5 milioni di euro di soli interessi.
La vittima ha descritto episodi di violenze fisiche e minacce: Pinto lo avrebbe schiaffeggiato, tentato di strangolarlo e più volte minacciato di morte, evocando persino la disponibilità di un kalashnikov. Anche la moglie Maritato, secondo la ricostruzione, avrebbe partecipato attivamente alle pressioni, intimandogli di rispettare le scadenze o di affrontare “altri soggetti” provenienti dalla criminalità organizzata.
La vittima ha inoltre riferito di pagamenti eseguiti nelle mani degli indagati e di pressioni veicolate tramite intermediari. Alcune minacce sarebbero state registrate in audio e consegnate agli inquirenti, confermando lo stato di prostrazione psicologica in cui versava.
Metodo mafioso sì, agevolazione no
Il gip Fabiana Giacchetti ha ritenuto fondati i gravi indizi di colpevolezza, confermando la misura cautelare e accogliendo l’integrazione richiesta dalla Dda: le condotte di Pinto e Maritato si sarebbero caratterizzate per le tipiche modalità mafiose, tra intimidazioni, evocazione di armi e riferimento a soggetti criminali terzi.
Secondo il giudice, ciò ha determinato un evidente assoggettamento psicologico e materiale della vittima, che per anni non ha denunciato per timore di ritorsioni.
Diversa, invece, la valutazione sull’agevolazione mafiosa: mancherebbero elementi concreti per ritenere che i reati contestati abbiano effettivamente favorito un’associazione di stampo mafioso. La stessa vittima, dopo l’arresto degli indagati, ha precisato di non aver subito ulteriori pressioni da parte di terzi.
Confermata quindi la contestazione del metodo mafioso, esclusa l’agevolazione: Pinto e Maritato restano detenuti. La Dda di Catanzaro prosegue l’attività investigativa per chiarire i legami dei due con la criminalità organizzata del territorio e le possibili ramificazioni dell’attività usuraria.