Vittorio Marchio, 25 anni fa il delitto che aprì la nuova era dei clan cosentini
Prima di “Garden” e dopo “Garden”. Con in mezzo Vittorio Marchio. Tra le due ere che fanno da sfondo all’epopea lugubre del crimine organizzato a Cosenza, trova posto il breve ma intenso interregno del cosiddetto boss in carrozzina. Un’ascesa vertiginosa la sua, seguita da una caduta altrettanto repentina. Pochi mesi in tutto, che però hanno lasciato un segno, specie per alcune scelte di politica criminale, da lui intraprese in quei giorni, che dispiegano ancora oggi i loro effetti. Fra i tanti omicidi di mafia, è quello che più di ogni altro fa da spartiacque fra il prima e il dopo. E proprio oggi ricorre il suo venticinquesimo anniversario.
La sparatoria
All’inizio degli anni Novanta, Vittorio Marchio è un affiliato del clan Perna-Pranno dedito essenzialmente alle rapine. È uno specialista del settore, ma nel 1992, durante l’assalto armato a una banca di corso Mazzini, una pallottola nella schiena, conseguenza di uno scontro a fuoco con un vigilante, gli lascia in dote un’invalidità permanente che lo mette fuori gioco. È costretto così a reinventarsi e il destino, fin lì per lui infausto, finisce per tendergli una mano. Nel 1993, infatti, scatta l’operazione “Garden”, l’inchiesta che scompagina letteralmente i clan cosentini. Marchio è uno dei pochi che scampa al ciclone giudiziario e con i quadri delle vecchie cosche ormai dietro le sbarre, prova a occupare lo spazio lasciato vacante dai boss pentiti e da quelli detenuti. Un po’ a sorpresa, l’impresa gli riesce.
L’ascesa
Comincia così la sua attività di estorsione ai danni dei commercianti e l’opera di infiltrazione nel sistema degli appalti. Di fatto, mette su una nuova famiglia criminale che vanta l’appoggio del clan degli zingari e del boss Marcello Calvano di San Lucido e ha in Sergio Perri il proprio riferimento imprenditoriale. Il gruppo riesce a piazzare grandi colpi in termini di racket, tant’è che lucra sulla costruzione della Città dei ragazzi, sulla realizzazione dei parcheggi dell’ospedale, dell’acquedotto di Cerisano e della galleria di Coreca. La sua forza e al tempo stesso la novità, però, è rappresentata dagli zingari che, in precedenza, sono sempre rimasti ai margini delle attività criminali. È proprio Marchio a “sdoganarli” nell’ambiente malavitoso, coinvolgendoli in attività «fino ad allora proibite come le estorsioni e il traffico di sostanze stupefacenti».
Il declino
Il periodo aureo finisce nel 1998 perché, con le prime scarcerazioni di “Garden”, si riforma un’organizzazione che mette insieme quel che c’è in circolazione delle vecchie cosche. Per gli investigatori, quello è l’anno di nascita del clan Cicero-Lanzino. In quel contesto, all’ex rapinatore non resta che rientrare tra i ranghi e riavvicinarsi ai suoi vecchi amici, reduci del clan Perna-Pranno. La tregua, però, è solo apparente. Marchio, infatti, continua a gestire in proprio gli affari, rafforza l’asse con San Lucido e al tempo stesso, porta avanti trattative per un’alleanza con Francesco Bruni “Bella Bella” e con il vecchio padrino Antonio Sena. Le sue ingerenze nell’affare di Coreca, però, è la goccia che fa traboccare il vaso. La sua fine è decretata nel corso di una riunione plenaria tra i maggiorenti del clan. Gli zingari, rievocherà in seguito un Francesco Bevilacqua ormai pentito, proveranno in tutti i modi a salvargli la vita, ma il suo destino ormai è segnato.
La caduta
Il 26 novembre del 1999 sono già appostati sotto casa sua, a Serra Spiga, ad attenderne il ritorno. Il bersaglio si materializza poco prima delle venti, a bordo di una Golf guidata da un autista. Marchio non può uscire da solo dall’abitacolo, e così se ne sta assiso sul sedile del passeggero, in attesa che lo aiutino a raggiungere la sedia a rotelle. È in quel momento che, dall’ombra, saltano fuori i sicari e gli scaricano addosso quattordici proiettili che lo uccidono sul colpo. Quattro anni dopo, nel 2003, scatta l’operazione “Drinkwater”, con i carabinieri che fanno irruzione nella baraccopoli di Gergeri, all’epoca quartier generale degli zingari. Nel corso delle perquisizioni, su un comò troveranno un ricordino funebre di Vittorio Marchio.