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12/10/2025 ore 21.51
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Brescia, il “sistema Pavia” scuote la magistratura: ombre di corruzione e legami col delitto di Garlasco

L’ex procuratore Mario Venditti e il pm Mazza indagati per corruzione e peculato. Spuntano intercettazioni, auto di lusso e presunti favori

di Redazione

Un presunto intreccio di favori, denaro e potere tra magistrati, imprenditori e ufficiali dell’Arma scuote la magistratura lombarda. È il cuore dell’inchiesta della Procura di Brescia sul cosiddetto “sistema Pavia”, che coinvolge l’ex procuratore Mario Venditti e il pm oggi a Milano Pietro Paolo Mazza, entrambi accusati di corruzione e peculato.

Secondo i decreti notificati ai due magistrati, si ipotizza un indebito arricchimento da 750mila euro e la disponibilità di auto di grossa cilindrata destinate “a uso personale o familiare”. Un’indagine che incrocia anche la vicenda del delitto di Garlasco, attraverso presunti abusi nella gestione delle intercettazioni e legami con ex carabinieri della “squadra” di fiducia di Venditti.

Gli investigatori si concentrano sullo “stanzone” della Procura di Pavia, dove passavano tutte le operazioni di ascolto sotto la supervisione di Mazza e di una ristretta squadra di carabinieri di fiducia di Venditti.

Tra loro, secondo la ricostruzione di La Repubblica, figurano l’ex maresciallo Antonio Scoppetta – già condannato a quattro anni e mezzo per corruzione – e il luogotenente Silvio Sapone, indicato come colui che, nel caso Garlasco, avrebbe «sancito l’assenza di interesse investigativo» nelle intercettazioni di Andrea Sempio, l’amico del fratello della vittima Chiara Poggi.

Il testimone Giampiero Ezzis, militare del nucleo informativo, avrebbe descritto agli inquirenti un sistema di favoritismi interni: «Se eri nelle grazie di Venditti venivi esaltato, altrimenti affossato». Nello stesso ufficio avrebbero operato anche Maurizio Pappalardo, ex maggiore con accesso non autorizzato ai fascicoli, e Cristiano D’Arena, titolare delle società Esitel e CrService, fornitrici di servizi di intercettazione e noleggio auto per le indagini. D’Arena, secondo gli atti, era anche legato a un ristorante frequentato dalla “squadra”, dove i pranzi di lavoro si trasformavano in veri e propri rituali di gruppo.

Un tassello cruciale è la testimonianza dell’ex carabiniere Giuseppe Spoto, che ha dichiarato agli investigatori: «Venditti mi chiese di trascrivere le intercettazioni in uno o due giorni, gli servivano subito per l’archiviazione». Spoto, sentito il 26 settembre scorso, ha parlato delle trascrizioni incomplete o errate delle conversazioni della famiglia Sempio risalenti al 2017, ammettendo la possibilità di “inesattezze” dovute alla fretta.

Riferisce inoltre che durante le operazioni di installazione delle “cimici” sull’auto dei Sempio, furono presenti anche un tecnico e il maresciallo Scoppetta, poi condannato nel processo “Clean2”.

Un elemento controverso riguarda gli orari dell’installazione delle microspie: per Spoto sarebbe avvenuta il pomeriggio dell’8 febbraio 2017, durante la notifica dell’invito a comparire; per gli inquirenti, invece, le registrazioni risultano attive già dalle 01.35 di quella notte. L’avvocato Domenico Aiello, difensore di Mario Venditti, respinge con forza le accuse: «Il mio assistito è vittima di un’aggressione ingiustificata al suo patrimonio di onorabilità costruito in una vita di lavoro. L’equazione ‘pm corrotto uguale assassino innocente’ è un’eresia giuridica, una blasfemia».

Aiello sostiene inoltre che, in base alla competenza territoriale, l’inchiesta pavese su Sempio dovrebbe essere trasferita a Brescia, poiché «gli atti già trasmessi per competenza producono un effetto trascinamento su tutte le indagini connesse».

La pista dei Sempio e i nuovi interrogatori

Il filone bresciano dell’indagine tocca anche la famiglia Sempio, tornata al centro delle indagini per l’omicidio di Chiara Poggi. Il padre Giuseppe Sempio ha riferito che, già a fine 2016, gli avvocati “parlavano del Dna del figlio” e consigliavano di rivolgersi al generale Luciano Garofano, ex comandante del RIS, per una consulenza genetica. «Abbiamo pagato tra 55 e 60mila euro per ottenere le carte», ha dichiarato Sempio, sostenendo che il denaro fu richiesto dagli avvocati «per avere accesso ai documenti».

La madre Daniela Ferrari ha confermato che «già al telegiornale del 23 dicembre 2016 si parlava del Dna di Andrea» e che le spese furono coperte grazie a prestiti familiari. Gli investigatori vogliono ora chiarire come e quando la famiglia Sempio ottenne informazioni riservate, comprese le relazioni dei consulenti della difesa di Alberto Stasi, Matteo Fabbri e Pasquale Linarello, citate in una relazione di Garofano del gennaio 2017.