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28/01/2025 ore 11.19
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Somministra farmaci inutili alla figlia per ottenere follower: madre accusata di tortura

Una madre australiana ha avvelenato la figlia di un anno per aumentare follower e raccogliere fondi online. Il caso ha scioccato l'opinione pubblica
di Redazione

Una vicenda sconvolgente arriva dal Queensland, in Australia, dove una madre di 34 anni è accusata di aver somministrato medicinali inutili e dannosi alla figlia di un anno, fingendo che fosse gravemente malata. L’obiettivo? Ottenere visibilità sui social media e raccogliere denaro tramite crowdfunding.

La donna, attualmente in custodia, si è presentata nei giorni scorsi al Tribunale di Brisbane per chiedere la scarcerazione su cauzione. Tuttavia, il giudice ha deciso di prendere tempo, alla luce delle accuse gravissime e dei danni subiti dalla piccola, che ha riportato complicazioni tali da richiedere due interventi chirurgici al cervello.

Secondo la polizia e il pubblico ministero, la madre avrebbe deliberatamente avvelenato la bambina per almeno due mesi, somministrandole farmaci non necessari e talvolta con false prescrizioni mediche. Durante il ricovero ospedaliero della figlia, avrebbe anche interferito con il sondino nasogastrico e utilizzato una siringa per aggravare le sue condizioni. Tutto questo sarebbe stato fatto per ottenere video drammatici da condividere sui social, attirare seguaci e promuovere una raccolta fondi che ha fruttato circa 60.000 dollari australiani.

Un piano premeditato per sfruttare la bambina

Secondo quanto emerso dalle indagini, il piano della donna non era frutto di un impulso momentaneo, ma di una strategia premeditata per sfruttare la figlia malata e aumentare la propria notorietà sui social media. L’accusa sostiene che tra il 6 agosto e il 15 ottobre 2024, la donna abbia somministrato medicinali inutili alla bambina, causando gravi danni fisici.

La piccola, che soffriva già di alcune patologie dalla nascita, non era mai stata in condizioni così gravi da richiedere interventi al cervello. “Questa bambina non avrebbe dovuto affrontare due cicli di interventi chirurgici se non fosse stata avvelenata”, ha dichiarato il pubblico ministero durante l’udienza.

La donna avrebbe inoltre pubblicato video e foto della figlia sofferente sui suoi profili social, accompagnati da messaggi strappalacrime, per suscitare empatia e spingere le persone a fare donazioni. I contenuti postati sarebbero stati visualizzati da migliaia di utenti, alcuni dei quali hanno contribuito economicamente attraverso una campagna di crowdfunding.

Le accuse: avvelenamento, tortura e frode

La 34enne deve ora rispondere a cinque capi d’imputazione per somministrazione di veleno, tre capi per reati con oggetti pericolosi e uno per tortura. Inoltre, è accusata di sfruttamento minorile e frode, per aver utilizzato la bambina come mezzo per raccogliere denaro in modo illecito.

Le accuse sono state aggravate dai comportamenti della donna durante il ricovero ospedaliero della piccola. Gli investigatori hanno infatti scoperto che, mentre la bambina era sotto osservazione medica, la madre avrebbe manipolato il sondino nasogastrico e usato una siringa per somministrare ulteriori sostanze, peggiorando intenzionalmente le condizioni della figlia.

La polizia ha descritto queste azioni come una vera e propria tortura, sottolineando che la bambina è arrivata a uno stato di totale incoscienza a causa delle manovre della madre.

Il ruolo dei social media e del crowdfunding

Un aspetto centrale di questa vicenda è il ruolo dei social media, utilizzati dalla donna come strumento per raggiungere il suo obiettivo. Attraverso post e video, la madre avrebbe creato una narrazione drammatica sulla presunta gravità delle condizioni della figlia, suscitando la compassione degli utenti.

Non solo. La donna avrebbe organizzato una raccolta fondi tramite piattaforme di crowdfunding, riuscendo a ottenere circa 60.000 dollari australiani. Questi soldi, secondo l’accusa, non erano destinati a cure mediche necessarie, ma rappresentavano il frutto di una truffa basata sul dolore e sulla sofferenza della bambina.

Gli esperti di sicurezza online hanno sottolineato come questo caso evidenzi i rischi legati al crowdfunding e alla condivisione di contenuti emotivi sui social media. “Le piattaforme devono fare di più per verificare l’autenticità delle raccolte fondi e prevenire casi di abuso come questo”, ha dichiarato un analista.

La difesa della donna: “Innocente fino a prova contraria”

Nonostante le accuse, la madre continua a dichiararsi innocente. Durante l’udienza, i suoi avvocati hanno sostenuto che le prove a suo carico sarebbero insufficienti per giustificare la detenzione preventiva. Hanno inoltre chiesto al giudice di concederle la cauzione, affermando che non vi è rischio di fuga.

Tuttavia, il pubblico ministero ha ribattuto che la gravità delle accuse e l’impatto devastante delle azioni della donna sulla salute della bambina giustificano la sua permanenza in carcere.

Il giudice si è riservato di decidere sulla richiesta di scarcerazione, prendendosi del tempo per valutare le prove presentate dalle parti. Nel frattempo, la donna resta in custodia, mentre la bambina è sotto stretta osservazione medica e affidata ai servizi sociali.

Le reazioni dell’opinione pubblica

Il caso ha scatenato una forte indignazione in Australia e nel resto del mondo, sollevando interrogativi sul ruolo dei social media e sulla responsabilità genitoriale. Molti si chiedono come sia possibile che una madre possa arrivare a sfruttare in modo così crudele la sofferenza del proprio figlio per ottenere benefici personali.

Organizzazioni per la tutela dell’infanzia hanno condannato con forza l’accaduto, chiedendo pene esemplari per casi di abuso e sfruttamento minorile. “Questo episodio ci ricorda quanto sia importante proteggere i bambini, non solo dalle minacce esterne, ma anche da chi dovrebbe amarli e proteggerli”, ha dichiarato un portavoce di un’associazione australiana.