Sezioni
11/10/2023 ore 10.06
Lettere e Opinioni

Gaza a Cosenza vuol dire casa

Le minoranze religiose dell'uno e dell'altro lato, perché quando la caricatura del conflitto diventa lo sterminio di un nemico non c'è strada più semplice che pensare di uccidere in nome di Dio
di Domenico Bilotti

Ricordo ancora l’iniziativa di Natale, ormai anni e anni fa e però negli anni riproposta, con amici della Gradinata Nord di Genova. L’idea appariva utopistica quanto semplice e forse per questo ebbe una sua sostanza di sbalorditiva concretezza: un giocattolo per ogni bambino sulla Striscia di Gaza. Territori attaccati e contesi dove giorno per giorno sembrano prodigi epocali elettricità, acqua, medicine e una serie di altri beni di prima (direi: immediata) necessità. 

All’epoca non mi occupavo affatto del conflitto arabo-israeliano: ne sapevo a stento dal liceo, e per merito di lungimirante impegno di una professoressa d’allora (pur da quelle idee distantissima) e non dai programmi ministeriali. Me ne sarei occupato molto più a lungo per lavoro, molto dopo, e mi guardo bene dal professarmene un esperto. 

Di sicuro, l’associazionismo per Gaza in città ha sempre avuto pieno diritto di cittadinanza, non solo perché non pochi lo hanno analizzato, entrando in contatto con migranti, studiose è studiosi, ma anche perché tanti hanno concretamente contribuito. Un patchwork di solidarietà dal basso che se arriva a destinazione ha un lato di umanità molto più forte delle guerre “umanitarie” che nel mondo sono state e sono seminate.

Quello che sta accadendo in queste ore sembra l’atto (nemmeno finale) di un copione le cui pagine sono scritte da anni. La popolazione palestinese non ha potuto avere uno Stato, se non comunità territoriali dai confini sempre più mutevoli e attaccabili. Anche quando la sua autonomia giuridica è stata riconosciuta, non v’è mai stato consenso unanime, né si è programmato seriamente come sottrarre dal bisogno estremo alcuni milioni di persone. Col determinismo da talk show non si fa la pace, si aiuta piuttosto uno dei mercati più redditizi nella crisi dell’ultimo decennio (quello della guerra, per capirci. Secondo il sociologo Didier Fassin l’edilizia penitenziaria e la produzione degli armamenti sono i settori in espansione del comparto grandi investimenti). 

Sarebbe semplicistico e inumano dire che centinaia di israeliani sono stati rapiti o uccisi a causa di questo – peraltro, a smentire ogni semplificazione, non tutte le vittime sono ebraiche. Chi attacca e chi uccide si esercita nella più truce delle scelte. Anche la ghettizzazione violenta dei territori palestinesi, del resto, è stata una scelta intenzionale, e non il risultato involontario di condotte non intenzionali. 

A ben vedere, sono state anzi colpite realtà che addirittura hanno nei decenni manifestato opposizione ferma al governo di Israele: dai collettivi giovanili ai territori metropolitani e rivieraschi. 

Quegli attacchi hanno però radici persino più rumorose delle bombe con cui sono esplosi. La saggista Paola Caridi aveva ammonito per tempo, in una sua monografia datata ormai nelle fonti quanto attuale nell’impianto: Hamas si stava trasformando. Non più il movimento guida e collante di rivendicazioni sociali e autonomistiche, ma un puzzle frammentario in una costellazione di interessi più grandi, che stava entrando nelle charities islamiche come nell’istruzione, nel controllo del territorio come nei rapporti geopolitici orientali. Non a caso, forti quelli con l’Iran, che ha sempre mal visto Israele e, più di recente, l’avvicinamento calcolato di Israele e Arabia Saudita. 

Un popolo è stato abbandonato, ma non si è votato al miglior offerente: semmai, il contraente più scaltro ci è entrato attraverso. È quello ahinoi che avrebbe fatto ogni mira egemonica dello stesso tipo. 

Adesso però non cerchiamo di abbandonarne tre al prezzo di uno: popoli non per l’etnia o la dogana, ma per la condizione oggettiva. Gli abitanti della Striscia, ancora una volta, cui è spesso impedito l’esercizio dei diritti civili, politici e sociali. Le minoranze religiose dell’uno e dell’altro lato, perché quando la caricatura del conflitto diventa lo sterminio di un nemico non c’è strada più semplice che pensare di uccidere in nome di Dio. E le forze politiche di opposizione, laiche e musulmane, ebraiche e non, che dall’interno della loro difficile situazione non hanno mai condiviso la spirale repressiva di questi decenni. 

Chissà i bambini che hanno ricevuto quei giocattoli se hanno visto il Natale successivo, chissà se adesso hanno figli a loro volta, chissà quanto soffrono presi tra due, tre o più fuochi: forse dieci anni meno dei miei che lì saranno stati lunghi come intere vite. Se Gaza è casa, come diceva uno dei refrain di quella campagna, non crollino più né capanne né condomini. Ché più pesante del peso del fuoco c’è solo quello della miseria.