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07/08/2025 ore 14.50
Lettere e Opinioni

Peter, il mendicante gentile di Corso Mazzini

Da Vienna a Cosenza, da diciotto anni il suo posto è tra le statue del MAB, con due cani e un sorriso. La sua è una storia silenziosa di dignità e gratitudine.

di Gaetano La Manna
Corso Mazzini a Cosenza

Riceviamo e pubblichiamo la lettera del nostro lettore, che precisa: nomi e racconto di fantasia, fatti e persone sono puramente inventati

Il salotto buono di Cosenza, Corso Mazzini, è divenuto da pochi anni una delle più grandi isole pedonali d’Italia. Il suo restyling si è completato con la splendida realizzazione del MAB – Museo all’Aperto Bilotti, frutto del nobile gesto compiuto dalla famiglia cosentina dei Bilotti, che ha donato al Comune le proprie preziose opere scultoree.

Si tratta di capolavori firmati da artisti del calibro di Manzù, De Chirico, Greco, Modigliani e molti altri, posizionati con cura lungo il percorso di Corso Mazzini, riprodotti su riviste prestigiose e ammirati ogni giorno da residenti e visitatori.

Sculture silenziose, testimoni del tempo, che osservano i volti dei passanti, ascoltano le voci dei bambini, accompagnano il lento incedere di chi passeggia. In questo spazio, nel cuore della città, si è fatta presenza quotidiana una figura umana che non è artista di strada né ritrattista improvvisato. È un mendicante: Peter, il viennese.

In base alle condizioni climatiche – escluse le giornate di pioggia intensa – Peter prende posto sul pavimento, accovacciato tra una statua di Modigliani e una di De Chirico, con le gambe incrociate come un guru. Accanto a lui, due pelosetti docili e tranquilli, che sembrano ignorare i passanti, appagati forse dalla nuova vita, lontana dall'abbandono e dalla solitudine.

I passanti, mossi dalla generosità, lasciano qualche moneta o banconota nella ciotola di plastica. A volte Peter, per dare sollievo al corpo, si siede accanto al muro di un palazzo, all’ombra, perché Corso Mazzini d’estate diventa quasi impraticabile per l’assenza di alberi e riparo.

La prima volta che lo notai, non conoscevo ancora il suo nome. Era solo, con uno dei suoi cani. Mi avvicinai, lasciai una moneta nella ciotola e, per rompere il silenzio, gli chiesi: «Ma lo fai mangiare?». Mi rispose con un largo sorriso: «Sì, lui è il primo».

Gli diedi una leggera pacca sulla spalla. Era vestito in modo trasandato, con la barba e i capelli lunghi, biondicci, un po’ imbiancati, e occhi azzurri, sempre sorridenti. Il fisico, però, appariva ben tenuto. Gli chiesi da quanto tempo fosse in Italia, a Cosenza. «Diciotto anni», mi rispose.

Una mattina l’ho rivisto, sempre lungo l’isola pedonale. La strada era in ombra e lui era al centro, vestito in maniera estiva, con camicia leggera e pantaloncini. I capelli e la barba tagliati. I due pelosetti accucciati, tranquilli.

Ci siamo salutati e gli ho ricordato il nostro primo incontro, che sembrava rammentare. Mi presentai e, con garbo, gli chiesi il nome. «Peter», rispose. Gli domandai se avesse voglia di parlare brevemente con me. Acconsentì.

Nel frattempo, lasciai cadere nel cestello qualche moneta, come altri passanti. Lui ringraziava, sempre.

Mi raccontò che diciotto anni fa era partito in treno da Vienna, diretto nel Sud Italia. Prima la Sicilia, che gli lasciò un ricordo indelebile: i capoluoghi visitati, la bellezza dei luoghi, l’atmosfera. Mentre parlava, si leggeva nei suoi occhi la gioia.

Poi arrivò a Cosenza. La città dell’accoglienza, disse, lo adottò. Parlò con gratitudine dei cosentini, che lo aiutano a vivere una vita da vagabondo, ma con dignità. Gli domandai se fosse sposato. Mi rispose di no. I suoi unici compagni di vita sono i due inseparabili cani. Ha un alloggio dove ripararsi, e mi disse anche dove si trova.

Dopo un po’, lo ringraziai per la disponibilità e gli chiesi se ci saremmo potuti rivedere per continuare la chiacchierata. Senza esitazione, mi rispose di sì.

Grazie, Peter. Alla prossima.