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08/05/2022 ore 12.05
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Addio a Franco, il padre di Roberta Lanzino. La Camera ardente nella sede della Fondazione

Dal dolore immenso per un omicidio ancora irrisolto i genitori della giovane 19enne uccisa 34 anni fa hanno voluto ricavare qualcosa di buono creando un luogo di aiuto e assistenza per donne e minori
di Redazione

Ci ha lasciato Franco Lanzino, il padre di Roberta Lanzino, la giovane di 19 anni uccisa quasi 34 anni fa e il cui omicidio è ancora avvolto nell’ombra. Da quel dolore immenso i suoi genitori, Matilde e Franco, hanno voluto da subito ricavare qualcosa di buono creando una Fondazione che porta il nome di Roberta e che si batte per i diritti delle donne e dei minori perché nessuno dimentichi quel sacrificio. Franco e Matilde hanno sempre lottato con grande coraggio perché i colpevoli di quella tragedia sconfinata fossero assicurati alla giustizia. Oggi Franco non c’è più e tutta la città si stringe intorno a questa famiglia coraggiosa che non s’è mai arresa al dolore.

«ll post che nn avremmo mai voluto scrivere – si legge sulla pagina facebook della Fondazione -. Addio Presidente. La Camera ardente per l’ultimo saluto a Franco Lanzino sarà allestita nella sede della Fondazione “Roberta Lanzino” per volere dell’amata moglie Matilde e dei figli che Franco adorava. Oggi si è spenta una luce in terra e si è accesa una stella nel cielo». E oggi, il pensiero che consola, è che padre e figlia siano di nuovo insieme.

La storia di Roberta

Roberta Lanzino ha 19 anni, quando, sulla strada per il mare, dove si sta recando, in motorino, seguita a breve distanza dai genitori che si fermano per brevi soste impreviste, viene selvaggiamente aggredita, seviziata, violentata e uccisa. La sua giovane vita viene spezzata, così, all’improvviso e casualmente.

Una semplice, felice, solare, ragazza, muore, barbaramente muore, per la sola “colpa” di essere donna. Una ragazza, una possibile figlia di ogni mamma e di ogni papà. Concluso brillantemente il primo anno di vita universitaria, si preparava a vivere la spensierata felicità di una estate al mare, in attesa di una nuova esperienza che l’attendeva a Settembre, in un Campus sindacale. Settembre che per lei non arriverà mai.

Arriva invece la mano assassina degli stupratori. Roberta muore, per un taglio alla gola: le spalline, conficcate nella bocca, certo per attutire il suo urlo di dolore; almeno cinquanta ferite e una caviglia slogata: il suo vano tentativo di sfuggire alla furia delle bestie umane.
E sul suo corpo, l’impronta biologica degli assassini, quel liquido seminale, testimonianza di una violenza connotata. Eppure lo Stato, ha assolto. Non per assenza di indizi, ma perché la scienza investigativa, che ha il compito di elevare alla dignità di prova gli indizi raccolti, si è dimostrata inadeguata, improfessionale, incapace, come apertamente dichiara la stessa sentenza di assoluzione.

La storia di Roberta è questa. Ha camminato con noi, limpida, luminosa, bella, semplice, pulita. Ha seminato sana allegria. Ci ha amato.