Maurizio Misasi: «Il correntismo del Pd non è il male. E sono tesserato a Cosenza»
Maurizio Misasi è figlio di Riccardo, simbolo di una DC che lasciò il segno a Cosenza e nel Meridione più in generale. La sua formazione prende forma al Liceo Telesio e, come il padre, ha studiato legge alla Sapienza. Ha affrontato anche un percorso di studio in Teologia alla Gregoriana e un altro in psicologia Junghiana. Vive in prevalenza tra Roma e Lubriano, ma lo abbiamo incontrato a Cosenza, dove ritorna spesso. Non ha mai abbandonato il gusto per la politica né gli è venuta meno la passione per le questioni politiche. É iscritto al Partito Democratico di Cosenza, per sua esplicita scelta.
Cosa c’entra un Misasi con il Pd?
«Il Pd oggi è uno strumento, ancora perfettibile, per coniugare quelle istanze di progresso, anelito di giustizia e libertà, che sono state espressioni del pensiero delle diverse anime della Sinistra: quella cattolica, socialista e comunista. Tra tutte queste istanze la Sinistra di Base della DC ha sempre cercato di creare spazi di dialogo; “Misasi” è tra i fondatori e i protagonisti della Sinistra di Base; io non ho mai smesso di sentire la responsabilità di continuare a dare vita a questo pensiero di Libertà».
Avrebbe potuto sottoscrivere la tessera ovunque, perché proprio nel Pd di Cosenza?
«Perché Cosenza è la mia città; l’unica nella quale – per la sua identità politica – mi riconosco, soprattutto per il suo carattere di città cosmopolita pur essendo periferia. Cosenza è un centro del mondo».
I democrat bruzi sono dilaniati dal correntismo locale. Dove vede questo cosmopolitismo?
«Albert Camus ci insegna: “la pace è l’unica battaglia che valga la pena di intraprendere”. Se questo è vero, paradossalmente, gli scontri e i litigi sono il presupposto della pace. Cosenza ha una tradizione nobile di capacità di coniugare lo scontro con il dialogo, finalizzato al miglior risultato ottenibile. Su tutte mi sovviene l’esperienza del Seggio Cosentino, la forma di autogoverno che la città ha avuto per secoli. Sempre le diverse fazioni, pur attraverso scontri efferati, trovavano poi l’accordo per ottenere il bene della propria comunità. Forse occorrerebbe cominciare a dare onore alla litigiosità, prima di giudicarla moralisticamente».
Colgo una certa lode alla classe dirigente nonostante i numeri delle ultime tornate elettorali. È così?
«C’è una cosa che mi ha stupito quando mi sono iscritto nel PD a Cosenza ed è quella di trovarmi dentro un partito percepito male e raccontato peggio. È come se – nell’immaginario corrente – questo PD dovesse appartenere a qualcuno piuttosto che a qualcun altro. Non è la mia opinione. Credo che la sfida vera del PD cosentino non sia tanto quella di negare scontri interni, che sono ineludibili e spesso sono il sale della politica, quanto piuttosto quella di liberarsi da questa “leggenda nera” che lo circonda. Noto che il PD a Cosenza è pieno di persone per bene. Quella che è stata la classe dirigente che il partito ha espresso negli ultimi anni ha contribuito a portare avanti politiche di sviluppo che la Calabria può ascrivere alla sua storia. Voglio fare un esempio concreto: il progetto TelCal, nato da un’intuizione di mio padre, quando era ministro per il Mezzogiorno nel 1990, è stato portato avanti da autorevoli esponenti della passata dirigenza del partito. Oggi il dato oggettivo è che Cosenza rappresenta il quinto polo produttivo italiano del terziario avanzato, del digitale e dell’high tech».
La presidente della Federazione provinciale Maria Locanto dalla nostra testata ha auspicato la fine di dinamiche obsolete e dannose. Non è il contrario di ciò che afferma lei?
«Penso che chi svolge il ruolo di “presidente”, anche in ambito territoriale, debba ambire alla garanzia e favorire il dialogo interno. Alla luce di questo, in politica, io, preferisco i “ragionamenti”, non amo le “denunce”. In un partito (a maggior ragione democratico) ognuno esprime e deve esprimere il proprio parere, come ritiene di farlo».
In che senso, può spiegarsi meglio?
«Le rispondo da iscritto al PD cosentino. Ciò che non mi avvince della dichiarazione è quando si rimanda a “dinamiche obsolete”. Ho sempre avuto e ho una grande diffidenza verso il “nuovismo” in politica, perché il “nuovo”, spesso, anche aldilà delle buone intenzioni di chi lo evoca, serve quasi sempre come grimaldello per cambiare le classi dirigenti ma non i metodi. Una forma di gattopardismo partitico se vogliamo? Conoscendo la Presidente del partito, non credo che fosse la sua intenzione. Ma in politica le intenzioni contano poco. Nessuno ha il gusto per l’obsoleto. Mi è sembrato quindi di cogliere alcuni elementi di contraddizione tra l’auspicio alla considerazione della complessità della vita interna del partito, l’invito a discutere nelle sedi opportune e poi l’improvvisa evocazione di manovre “oscure” non meglio evidenziate che sarebbero all’origine delle scelte del partito e addirittura dell’Amministrazione Comunale sulla vicenda Funaro. In questo modo si rischia di far apparire il sindaco e tutta l’amministrazione, come agiti ed eterodiretti. Il Sindaco, certamente, governando un’Amministrazione frutto di alleanze politiche, deve dialogare con tutti e mantenere un equilibrio fra le forze che compongono la sua maggioranza, altra cosa è immaginarlo soggiogato e non libero nelle scelte. Questo non lo credo vero. Non bisogna mai nutrire il dibattito politico di dietrologie che fanno nascere una lettura dei fatti che è solo “denunciante”. In una lettera di Moro a papà si scrive “la politica necessita di verità, non di denuncia”, questa “verità” è frutto del “dialogo”, questo “dialogo” genera “pace”. Trovo quindi che nella dichiarazione di cui stiamo parlando, alla fine prevalga la denuncia e non il ragionamento».
Elly Schlein appena insediatasi ha evidenziato come sia indispensabile estirpare i cacicchi del partito…
«Io ho sostenuto pubblicamente Elly Schlein e lo faccio ancora. Mi pongo, però, rispetto a questa affermazione in una posizione critica. Si tratta di un tema antico che riguardava anche i partiti della prima Repubblica. Se da un lato condivido l’esigenza della liberazione feudale dei partiti, sono del parere che le correnti di pensiero debbano alimentare il dibattito interno. Invocando la fine dei cacicchi dobbiamo stare attenti alle semplificazioni: corriamo il rischio di sostituirne i vecchi con dei nuovi».
Ha parlato di Maria Pia Funaro, che idea si è fatto di un caso di cui molti stanno discutendo a Cosenza?
«Le deleghe e gli incarichi di Giunta si basano, magari anche su equilibri politici, ma prioritariamente sul rapporto fiduciario fra gli incaricati e il Sindaco. Conoscendo Franz Caruso ritengo che la sua scelta sia stata determinata dal venir meno di quel clima di fiducia essenziale nell’azione di governo della città. Ciò detto mi dispiace per Maria Pia perché è una persona per la quale nutro affetto e ritengo che abbia qualità che debbano essere valorizzate e per lei auspico un futuro politico brillante, nel nostro partito e nella nostra terra. Tuttavia la funzione di Vicesindaco è la più istituzionale nella Giunta dopo quella Sindaco; il riferimento al venir meno del “rapporto di fiducia”, ritengo, che possa essere ascritto ad alcune scelte e comportamenti che sono apparsi dissonanti con l’assunzione di responsabilità che un amministratore deve condividere nella funzione esecutiva rispetto al mandato dato dai cittadini».
Alla luce di tutto ciò che giudizio esprime sull’Amministrazione comunale?
«È un’Amministrazione guidata da un signore perbene, trasparente, tenace che sta traghettando la città fuori dalle tempeste finanziarie connesse al dissesto. Comporre un’opera di risanamento finanziario e gestire la complessità delle urgenze quotidiane con una macchina burocratica priva di dipendenti (e senza risorse) è veramente difficile. Ritengo che questa Amministrazione stia onorando Cosenza. Ha avviato un’opera di cantierizzazione, delle periferie e dell’area storica, importante e ha realizzato il sogno di mio padre portando l’Università della Calabria nel Centro Storico. Questo atto è ascritto alla storia della nostra città. Le politiche di risanamento e sviluppo in atto sono lungimiranti perché ricollocano Cosenza in una rinnovata centralità geografica e quindi politica che nessuno può ignorare».
Il riferimento alla città unica è chiaro. Cosa ne pensa?
«È una necessità oggettiva dare corso amministrativo ad una realtà che è già in essere. Cosenza e Rende sono già di fatto un cluster urbano importante. La sfida vera è ottimizzarne le potenzialità, in cui gli interessi politici non devono scadere nella partigianeria della destra come della sinistra. Misasi e Mancini pur da posizioni diverse hanno sempre trovato l’accordo per favorire Cosenza e non le faccio l’elenco delle grandi opere realizzate insieme. Auspico e ho fiducia che il Presidente della regione e il Sindaco della città capoluogo, ai quali riconosco attenzione e sensibilità verso l’interesse della loro Cosenza, possano pianificare insieme un percorso comune e concorde».