Rende, al Laboratorio Civico non sono piaciute le parole di Bianca Rende dopo il blitz della Dda di Catanzaro
Dopo le dichiarazioni a mezzo stampa, il Laboratorio Civico è intervenuto sulle dichiarazioni rilasciate dalla consigliera comunale Bianca Rende. «Siamo costretti – si legge nella nota stampa – a registrare l’ennesima occasione persa per tacere. Questa volta è toccato a qualcuno che rappresenta – solo e soltanto per autodefinizione- “un bel gruppo che ancora si riunisce e discute di politica con la passione di chi ancora ci crede”. Lo si fa con la protervia di chi parla di tutto e del contrario di tutto, dimenticando, come spesso accade a molti, di voltarsi a guardare indietro e riflettere sulle nostre radici, su cosa abbiamo fatto e su ciò che siamo e rappresentiamo adesso».
«La consigliera comunale Bianca Rende si spinge sul molle terreno delle recenti vicende giudiziarie che hanno riguardato la nostra provincia. Nel farlo, si avverte una certa benevolenza -“sempre elogiando il lavoro dei magistrati”, dice- arrivando ad affermare con ovvietà che “certamente molto aiuterebbe a svelenire il clima politico di questi giorni, l’autodeterminazione a fare un passo indietro da parte di quanti si trovano in una posizione soggetta a indagine, sua o dei propri congiunti», prosegue Laboratorio Civico.
«Pur non volendo dare troppa importanza ad un sibilo, preme sottolineare la terribile novità appresa dalle parole della consigliera Rende: gli elementi indiziari (gravi e sussistenti o meno) si trasmettono jure sanguinis e, perché no, anche jure ereditatis. Quindi, si presume che tutti i parenti, gli affini e i discendenti o eredi degli indagati – termine che andrebbe tenuto costituzionalmente a debita distanza da quello di condannati ma, comprendiamo, verrebbe complicato- sono da considerarsi censurabili, biasimabili e, secondo il Diritto spiegato all’uomo di Neandertal, condannabili. Almeno per formazione – che ci risulta la consigliera abbia – si dovrebbe ricordare che l’articolo 27 della nostra Costituzione sancisce, tra le altre cose, che la responsabilità penale è personale e che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Di conseguenza, sempre secondo
il ragionamento “di chi ancora ci crede” – nonostante i recenti risultati elettorali, verrebbe da aggiungere -, un padre, una zia, un cugino o una figlia di un soggetto indagato avrebbero l’obbligo di dimettersi perché, così facendo, aiuterebbero “a svelenire il clima politico di questi giorni”. No, non è così: il clima politico si svelenisce con la serenità degli animi -prima di quella dei giudizi affrettati-con l’onestà intellettuale ed un po’ di coerenza.
Cosenza cresce insieme? No, così non andrà da nessuna parte…», conclude la nota.