Sezioni
17/12/2025 ore 13.42
Politica

Scioglimento del Comune di Rende, il Consiglio di Stato respinge l’ultimo ricorso di Manna

Si mette il punto alla vicenda impugnata dall’ex sindaco e dalla sua squadra di governo. La sentenza richiama numerosi episodi di irregolarità amministrativa, già analizzati dal TAR e confermati in appello

di Antonio Clausi

Il Consiglio di Stato ha messo definitivamente fine al contenzioso sullo scioglimento del Comune di Rende, respingendo l’appello presentato da Marcello Manna e dagli altri ex amministratori. Con la sentenza, i giudici amministrativi hanno confermato la piena legittimità dello scioglimento dell’Ente, disposto ai sensi dell’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali. La pronuncia rafforza quanto già stabilito dal TAR, sancendo che il provvedimento di scioglimento e il successivo commissariamento risultano fondati su un quadro indiziario solido, coerente e conforme alla normativa vigente.

Marcello Manna, Salvatore Esposito, Giovanni Gagliardi, Marco Greco, Romina Provenzano, Marta Petrusewicz, Elisa Sorrentino ed Annamaria Artese avevano contestato il decreto di scioglimento sostenendo l’assenza di elementi concreti di condizionamento mafioso, denunciando vizi procedurali e un presunto travisamento dei fatti. Il Consiglio di Stato ha tuttavia ritenuto infondate tutte le censure, respingendo integralmente il ricorso. Secondo i giudici, le circostanze richiamate nella proposta ministeriale sono state ampiamente supportate dall’istruttoria amministrativa e valutate in modo logico e coerente, escludendo qualsiasi illegittimità dell’azione prefettizia e governativa.

Perché lo scioglimento del Comune di Rende è legittimo

Nella sentenza viene ribadito un principio centrale: lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose ha natura preventiva e cautelare. Non richiede l’accertamento di responsabilità penali individuali, ma si fonda sulla presenza di elementi indiziari concreti, univoci e rilevanti, idonei a dimostrare il rischio di condizionamento dell’attività amministrativa. Nel caso di Rende, il Consiglio di Stato ha ritenuto che esistesse un complesso di relazioni personali opache; vi fosse una mala gestio della cosa pubblica, in particolare negli affidamenti e nella gestione dei beni comunali; il funzionamento dell’ente risultasse compromesso nella sua imparzialità.

La sentenza, inoltre, richiama numerosi episodi di irregolarità amministrativa, già analizzati dal TAR e confermati in appello. Tra questi le anomalie nell’affidamento dei lavori e nella gestione del palazzetto dello sport; i rapporti con imprenditori destinatari di interdittive antimafia; criticità nella gestione dei beni pubblici e nella riscossione dei tributi locali. Tali elementi, valutati in maniera globale e non atomistica dai giudici, hanno contribuito a delineare un contesto di diffusa illegalità amministrativa, sufficiente a giustificare lo scioglimento.

Uno dei punti centrali del ricorso riguardava le pronunce favorevoli in sede penale. Il Consiglio di Stato ha chiarito che tali esiti, pur noti all’Amministrazione, non incidono sulla legittimità dello scioglimento del Comune di Rende. La giurisprudenza consolidata afferma infatti che il procedimento ex art. 143 TUEL può prescindere dalle sentenze penali, poiché mira a tutelare l’interesse pubblico e il corretto funzionamento dell’ente locale, secondo il criterio del “più probabile che non”.

Nessuna violazione del contraddittorio procedimentale

Respinta anche la censura sulla mancata partecipazione degli amministratori al procedimento. I giudici hanno ribadito che lo scioglimento per infiltrazioni mafiose è un procedimento di ordine pubblico, caratterizzato da esigenze di speditezza e riservatezza, compatibili con la compressione delle garanzie procedimentali ordinarie. La tutela degli interessati, ha sottolineato il Collegio, è comunque assicurata in sede giurisdizionale, come avvenuto nel caso di specie.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), si è quindi definitivamente pronunciato sull’appello e lo ha respinto. Ha altresì condannato gli appellanti al pagamento delle spese processuali in favore dell’Amministrazione statale intimata e del Comune di Rende, che liquida in complessivi 8mila euro oltre accessori di legge per ciascuna delle parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.