Aprigliano, il mito di Duonnu Pantu e dei Gapulieri rivive in un libro
Presentato il volume di Antonio De Paoli che indaga in modo originale la vita e le opere di Domenico Piro e della confraternita di poeti dialettali del Seicento
In paese non accade mai niente. È uno spazio periferico che sta lì, un po’ ai margini delle mappe e dei pensieri, utile per le campagne elettorali, per le gite della domenica, e per ravvivare qualche vecchio, simpatico cliché durante una cena tra amici. Qualcuno, forse, lo crede. Eppure, scavando a fondo nella storia - con la pazienza e la curiosità di chi ha a cuore le proprie radici- si scopre il contrario: tra le case addossate che si rincorrono come parole in una frase senza punteggiatura, qualcosa è successo, qualcosa accade e molto può accadere.
Per esempio, non è un anonimo punto sulla cartina, Aprigliano. È il paese che nel pieno del Seicento ha dato i natali a Domenico Piro, un parroco e poeta con più irriverenza che prudenza, capace di far arrossire mezzo clero e di far sorridere chiunque ne avesse ancora voglia. Fu lui, sotto lo pseudonimo di Duonnu Pantu, a decidere che il dialetto poteva dire tutto ciò che il latino taceva: la fame e la fede, la carne e il riso, la vita nella sua forma più nuda.
Nella giornata di ieri, presso la sala polifunzionale del comune, le tracce del suo passaggio - insieme a quelle dei cosiddetti Gapulieri, confraternita di scrittori e poeti dialettali - sono riaffiorate più vive che mai, grazie a un lavoro di ricerca minuzioso confluito nel volume “Duonnu Pantu e i Gapulieri. Studio documentario e inedito su identità e attribuzione poesie”.
L’autore, Antonio De Paoli, scrittore, curioso ricercatore di cose patrie e musicista, ha scelto di restituire voce a un gruppo di poeti che, nella seconda metà del Seicento, seppero raccontare la loro epoca senza filtri: la povertà e l’ingegno, la censura e la libertà, la fede e la fragilità umana.
Un’indagine che non riguarda solo la paternità delle opere, ma la trama stessa di una comunità che - attraverso la parola - cercava di riconoscersi.
Quei pensieri e i loro autori hanno trovato interpretazione in cinque prospettive differenti, guidate dal moderatore Raffaele Tarantino, scrittore e ricercatore. Nei primi versi della poesia “Canzuna” e che può essere apprezzata integralmente nel volume, si legge: Fràtimma dice ca nun vale l’uoru, ca ccu’ lu litteratu nun cc’è paru, Io vurria truvare nu trisuòru. ppe’ dire buonanotte allu livraru.
Così l’autore riassume con ironia e amarezza la condizione del poeta che sa di non potersi nutrire della sola poesia. In pochi versi, disegna la tensione eterna tra l’arte e la sopravvivenza, tra la voglia di scrivere e la necessità - più terrena- di vivere. Un dilemma che non suona lontano neanche oggi, e che vede milioni di studenti e studentesse interrogarsi ancora sulla scelta di ciò che appassiona, a dispetto di ciò che serve per vivere, e viceversa.
Prende così avvio l’intervento del primo relatore, Francesco Quattromani, genealogista, scrittore e socio fondatore dell’Associazione Duonnu Pantu insieme a Gaetano Marchese. Quattromani racconta la paziente indagine archivistica di De Paoli: inventari, testamenti e contratti che restituiscono il volto concreto della società apriglianese del Seicento.
«Un patrimonio prezioso, oggi minacciato dalla chiusura di archivi e biblioteche che affrontano seri problemi finanziari. La Biblioteca Civica di Cosenza è chiusa da marzo 2020 e costituisce un doloroso esempio di questo fenomeno», denuncia.
Arriva il turno di Giulio Le Pera, docente di Filosofia e Storia nei licei di Tropea, il quale descrive l’opera di De Paoli come un «giallo della Aprigliano seicentesca con peculiarità differenti da quelle dei gialli tradizionali». Si tratta di un’indagine appassionata non su un delitto, ma sulla vita - spiega Le Pera- in cui l’autore non assume il ruolo di narratore onnisciente. Si muove piuttosto da investigatore, interrogandosi (e offrendo risposta) su un aspetto del tutto inedito dei versi di Pantu e dei Gapulieri: i personaggi che emergono dalla lettura delle poesie sono archetipi poetici o sono realmente esistiti?
Non occorre anticipare troppo: si toglierebbe al lettore il piacere di scoprirlo. È fuor di dubbio, però, che dai versi emerga l’identità di un popolo che avrebbe avuto tanto per cui piangere ma che, attraverso i Gapulieri, e Pantu in particolare, sceglie di ridere. Gaetano Marchese, psicologo, psicoterapeuta e scrittore, cita infatti uno studio di Sigmund Freud che certifica la funzione protettiva, quasi catartica, della risata. La parola diventa veicolo di libertà, intrisa anche di eros e pathos. E se anche si volesse etichettare Pantu come autore “scabroso e pornografico”, l’obiezione vacillerebbe.
Già nel programma “Rinviata a Giudizio”, disponibile su LaCplay, il parroco apriglianese era stato al centro di polemiche per la presunta “scabrosità” dei suoi versi. Così Franco Laratta, Direttore di LaC News 24 e de La Capitale, ha ricordato, nel corso dell’evento, che scandalizzarsi oggi sarebbe paradossale, considerando le azioni ben più controverse di altri personaggi storici religiosi. Non è mancato da parte sua un plauso a Antonio De Paoli, «che con passione e rigore ha riportato alla luce queste voci del Seicento, colmando vuoti narrativi importanti».
Parola, infine, all’autore del volume. Antonio De Paoli prende la parola, tra doverose precisazioni tecniche e ringraziamenti a pubblico e relatori: «Il mio alter ego, con cui sono da sempre in conflitto, non ha smesso un attimo di ammonirmi: “Tonino, stai attento: su Duonnu Pantu e i Gapulieri si sono già espressi tantissimi studiosi. Potresti non dire nulla di nuovo; in quel caso, lascia perdere”».
E così, tra ironia e curiosità, De Paoli sfida le provocazioni del suo alter ego, lasciando ai lettori il verdetto finale.