Brunori superstar a Sanremo, da San Fili al palco dell'Ariston ripensando a Guardia '82
L’antipasto del 2025 Dario Brunori lo serve all’ombra di un grande albero, un albero di noci. Questo è il titolo della canzone che il cantautore cosentino porterà a Sanremo. Un brano sulla gioia e la rivoluzione, su una nuova vita che segna una striscia di confine tra un prima e un dopo. «La nascita più importante che mi riguarda è sicuramente quella di mia figlia Fiammetta che è stata un motore – ha detto l’artista in diretta Rai -. Una canzone che prende a pretesto quella gioia incredibile, ma parla anche della paura, dell’inquietudine che si prova in queste situazioni, in cui spesso ci si sente inadeguati. Quella linea sottile che separa l’essere genitori dal sentirsi ancora figli».
Da San Fili a Sanremo, il passo non è stato poi così breve, ma lungo e ponderato. Dario Brunori, accanto al nume tutelare Domenico Modugno, si inginocchia su IG per recitare la preghiera laica che ogni artista ripete come un mantra, con la stessa devozione di una vecchina che sgrani il rosario: volare nel blu del cielo ligure, tra le strade infiorate della città simbolo del canto italiano per eccellenza, perché lì una volta all’anno, si raccoglie tutto il mondo della musica del Belpaese.
Con incursioni di super ospiti stranieri che in passato hanno fatto storia o per brevità (Madonna fu congedata in fretta e furia da Raimondo Vianello), o per mitologiche presenze ancora oggi incastonate in quella Hall of Fame de noantri in salsa sanremese (su tutti ricordiamo che ci fu David Bowie e pure i Queen).
Brunori, agli albori, a Sanremo non sognava neanche di andarci. Dovevano passare quindici anni e cinque album prima di lasciarsi sedurre dall’idea di provarci. Nel 2019 il primo timido avvicinamento nella serata dei duetti insieme ai Zen Circus, nel 2025 tocca solo a lui, a loro, perché Brunori è una sas, (Simona Marrazzo, Dario Della Rossa, Massimo Palermo, Mirko Onofrio, Stefano Amato, Lucia Sagretti) un’accomandita semplice, rodata e unitissima.