Capomolla procuratore, a Cosenza non vale più la regola del "Telesio"
di Marco Cribari
Definirlo “Papa Nero” sarà un po’ eccessivo, ma di certo la nomina di Vincenzo Capomolla a procuratore della Repubblica di Cosenza, interrompe una tradizione che da sessant’anni a questa parte sembrava quasi inviolabile: quella di un capo della magistratura inquirente nato e cresciuto nella città dei bruzi. Un’equazione da calibrare, considerato che due di loro – Ettore Cetera e Oreste Nicastro – proprio di Cosenza non erano: originario di un centro dello Sibaritide il primo, di Cleto il secondo. Sono, però, eccezioni che confermano la regola, ne aggiustano il tiro: anche loro, infatti, si sono seduti, in gioventù, tra i banchi del liceo classico cittadino. Capomolla, insomma, è il primo procuratore non di stretta osservanza “telesiana”.
Ettore Cetera
Chi lo ha preceduto, è stato protagonista e al tempo stesso testimone dei tempi suoi. Parlare di loro equivale a raccontare la storia del XX secolo e del primo quarto del nuovo millennio. Ettore Cetera al Liceo “Telesio” c’era legato a doppio filo perché lì suo fratello insegnava l’Educazione fisica. S’insedia alla guida della Procura al principio degli anni Sessanta, l’epoca del boom economico, e non a caso le sue inchieste copertina rimandano agli scandali edilizi e a quello della Cassa di risparmio di Cetraro, con tanto di scalpore per l’arresto di un sindaco Dc. Sono gli anni della cappa democristiana che avvolge ancora la città e che sarà spazzata via dalle turbolenze del decennio successivo.
Saverio Cavalcanti
Al timone dell’ufficio, gli succede un galantuomo che si chiama Saverio Cavalcanti, già pubblico ministero con il vecchio procuratore. Naviga in acque a dir poco agitate. Il crimine organizzato e l’odio politico lasciano impronte profonde e dolorose. Si apre la stagione dei sequestri di persona, che a Cosenza si traduce nel rapimento del piccolo Francesco Cribari nel 1974 e cinque anni dopo in quello di Marco Forgione. Il 1979 è anche l’anno dei carabinieri del generale Dalla Chiesa, il loro blitz antiterrorista all’Unical chiude simbolicamente il decennio e anche l’epoca di Cavalcanti. Un decennio più che emergenziale. Per tutta la durata del suo mandato, ha potuto lavorare insieme a un solo giudice istruttore – Carmelo Copani e poi Fabio Mastroianni – nonché contare soltanto su due sostituti: Oreste Nicastro e Alfredo Serafini. Il futuro appartiene a loro.
Oreste Nicastro
Oreste Nicastro prende le redini della Procura quando la guerra di mafia è all’acme della sua ferocia. Il 5 marzo del 1982 si trova anche lui, per puro caso, nel vecchio carcere di Colle Triglio, quando l’uccisione del detenuto Mario Lanzino genera una rivolta che lo coglie di sorpresa, ma non lo trova impreparato. Armato fino ai denti, si asserraglia in una stanza dell’edificio e da lì guida le operazioni antisommossa. Sono anni difficili: ai tanti omicidi che insanguinano le strade, fanno seguito arresti che quasi mai si traducono in condanne. Gli strumenti d’indagine non sono così sofisticati. E quelli sono anche anni di frustrazione. L’affinità con il proprietario dell’hotel “La Perla” di Cetraro genera imbarazzi, una parentela scomoda e acquisita con il killer Peppino Vitelli gli rotola tra i piedi, prima che una brutta malattia lo metta fuori gioco in anticipo. Era «culturalmente» contrario all’ergastolo. (Clicca su “avanti” per continuare a leggere l’articolo)