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13/12/2023 ore 18.27
Societa

Concerto grosso in Paradiso, Cosenza dice addio ad Alberto Leonetti

Il geniale compositore si è spento all'età di 79 anni, storia di un talento purissimo che rinunciò alla fama e al successo per amore della musica
di Marco Cribari

È uscito di scena all’improvviso, senza salutare. E di questo se ne starà facendo certamente un cruccio. Gli applausi per Alberto Leonetti, però, continuano a piovere a dirotto. Anche ora che lui non può sentirli, anche adesso che non c’è più. Il musicista e compositore cosentino è morto oggi dopo 79 anni di esistenza ben spesa al servizio dell’arte, del lavoro, della famiglia.

Veniva da lontano, dai favolosi anni Sessanta, epoca in cui per i giovani di talento come lui, tutto sembrava possibile. Era la stagione dei complessi musicali e Leonetti ci mette poco a imporsi come uno dei principali interpreti della scena cosentina. Il suo gruppo si chiama “I Limbos” e anima le serate allo Young’s club di via Mario Mari, il primo locale aperto in città per la gioia di baby boomer e figli dei fiori. Alberto suona l’organo e si accompagna a Giampiero De Maria (voce), Franco Falco (basso) Giustino Zappone (chitarre e mandolino elettrico) e Mimmo Palermo (batteria). Già allora mette in mostra tutto il suo talento compositivo. Nel 1967, sotto il nome di Tomahawks, lui e gli altri – con Nicola Carnevale ed Ernesto De Paola sassofonisti di rinforzo – incidono uno dei pochi 45 giri realizzati in quel periodo da band cosentine.

“La notte era giorno” e “Suonami un po’ di rythm’n’blues”, si intitolavano così le due canzoni del disco, entrambi a firma Leonetti. Ne producono un’ottantina di copie e la copertina disegna personalmente lui, disco dopo disco, con i volti dei componenti del gruppo stilizzati secondo un ricamo psichedelico in voga a quei tempi. «Non vendemmo neanche una copia» si schernirà anni dopo Alberto, ormai adulto, ma quella piccola gemma sonora e visiva oggi è ricercatissima dai collezionisti, disposti a pagare fino a mille euro per averne una copia. Tutto sembrava possibile allora. «Il tempo è dalla mia parte» recitava un blues molto in voga in quegli anni. Tutti pronosticavano per lui un avvenire di sicuro successo. Era l’intelligentone del gruppo, bravo, sensibile e creativo. Nessuno dubitava che sarebbe riuscito a sfondare. Era solo questione di tempo. E il tempo era dalla sua parte.

 Se le cose sono andate poi in modo diverso, è solo per un fatto di clima e non di voglia. L’occasione della vita arriva alla fine di quel decennio. Gianni Morandi si esibisce al vecchio stadio “Morrone” e alla fine del concerto Leonetti gli passa le registrazioni dei suoi brani. Finalmente le grandi case discografiche possono accorgersi di lui, pensa, mentre consegna la bobina alla superstar italiana del momento. Attende da lui una risposta, anche solo un cenno. Che, però, non arriverà mai.

La stagione del riflusso è alle porte e, idealmente, coincide per lui con quel mancato appuntamento con il destino. Leonetti non se ne farà un cruccio. La Rai lo assume come regista-programmista, ma non sfrutterà mai appieno il suo potenziale. Poco male. Leonetti ha altro a cui pensare. Niente compromessi, nessuna scorciatoia. Ha un’intera orchestra che gli suona nella testa e così continua a scrivere testi e a comporre musica. “Cosenza mia”, inno alla sua città natia, è un brano che non avrebbe dovuto mai vedere la luce. L’autore non voleva entrare in competizione con l’amico Mario Gualtieri, già interprete di “Buonanotte Cosenza”. È proprio quest’ultimo che, invece, lo convince a finirla. E poi commenta così il risultato: «La mia è una canzoncina, la tua è una canzone».

Nello stile ricorda a volte Sergio Endrigo (“La più bella del mondo”) a volte Peppino Gagliardi (“La breve estate”). Molti dei suoi temi musicali – “Love island” su tutti – sembrano scritti per il cinema. Maneggia con sapienza e abilità la samba, il jazz, il blues, il tango e li mescola come i grandi direttori d’orchestra. La sua è musica che mira in alto, ma con un’anima sempre pop. Emulo di Piero Umiliani e Armando Trovajoli. Gli Shadows che incontrano Chopin. Questo era Leonetti. Poteva diventare una star, ma ha scelto di diventare sé stesso.

Con l’avvento della tecnologia, arrivano anche le soddisfazioni a lui negate in gioventù. Se le riprende tutte, con gli interessi. Riversa la sua produzione in rete e, grazie a Spotify, acquista notorietà in tutto il mondo. Lo ascoltano in prevalenza negli Stati Uniti, ma anche in Paraguay, Sud Africa ed Emirati Arabi. Accoglie la rinnovata popolarità con leggerezza e disincanto. Troppo fine per montarsi la testa, troppo mite per recriminazioni e vendette postume. Il tempo è ancora dalla sua parte. E tanto basta.

Ora che il suo tempo quaggiù è scaduto, ora che lui non è più, v’è la certezza che ad attenderlo, tra le nuvole, abbia trovato un comitato d’accoglienza di tutto rispetto: l’adorata moglie Maria in primis e con lei Rino Cosentino, Dino Pisacane, Ermanno Cammarota, Frank Costa, Giusi Santoro, Raffaele Borretti e tutti gli straordinari interpreti di un’epoca ormai lontana irripetibile. Ognuno armato di strumento per salutare come si deve l’arrivo del maestro. Piace pensare che anche Ennio Morricone, attirato dal clima di festa, si sia fermato a scambiare due battute con lui. E che Totonno Chiappetta, dando di gomito a qualche angelo o santo, se ne sia uscito con una battuta vurpigna delle sue: «Chi è quel simpatico vecchietto che parla con Alberto Leonetti?».