Cosenza, in 4 anni 400 nuovi nati in meno: pesano le incertezze e l'assenza di servizi per l'infanzia
Sono i due lati di una stessa medaglia: meno bambini, meno donne occupate. La medaglia è quella dei servizi che mancano, del lavoro precario e malpagato e di quello che spesso non c’è affatto. Nei giorni scorsi a Roma si sono tenuti gli “Stati generali della natività”, un focus sul cosiddetto “inverno demografico” del Paese a cui hanno preso parte anche il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e Papa Francesco. Al centro il record – negativo – di nascite nello scorso anno: 392.598 a fronte di 713.499 decessi.
L’inverno demografico cosentino
Un trend in discesa nel quale confluiscono le curve discendenti di gran parte delle province italiane. Cosenza è tra queste: nell’arco di 4 anni – tra il 2019 e il 2022 – si sono “perse” quasi 400 culle mentre, al contrario, sono aumentate le morti. Una leggera spinta verso l’alto, secondo i dati Istat, si è avuta solo dal 2021 al 2022, ma così piccola da risultare irrilevante: i nuovi nati sono passati da 4.608 a 4.633, un dato che comunque non frena il movimento verso il basso delle cifre che solo nel 2019 erano ancora a 5.029, scese già nel 2020 a 4.825.
Contestualmente, crescono i decessi: dai 7.590 del 2019 si è passati a 8.366 nello scorso anno. Una provincia sempre meno popolata e sempre più anziana. Incasellate nelle tabelle dell’Istat, le percentuali di un invecchiamento che appare ormai – a meno di un deciso cambio di rotta che però non si vede all’orizzonte – inesorabile. Gli abitanti di età compresa tra 0 e 14 anni al 1° gennaio 2023 rappresentano solo il 12,3% del totale, il 63,7% quelli tra 15 e 65 anni, il 24% gli over 65 mentre l’età media continua a lievitare arrivando a 46,2 anni (6 in più nell’arco di un ventennio).
Donne tra lavoro e figli
A poco servono, a guardare il quadro d’insieme, gli incentivi una tantum che vorrebbero provare a correggere la curva della natalità a colpi di assegni che, se da un lato rappresentano sicuramente un aiuto, dall’altro sono una goccia in un oceano o, meglio, un granello di sabbia in un deserto.
Lavoro che non c’è, e quando c’è è in equilibrio su una selva di irregolarità e incertezze. Secondo i dati prodotti da Istat e Inps, nel Cosentino ci sono 78 lavoratori attivi ogni 100 pensionati. La nostra provincia è una di quelle – assieme alle altre calabresi – che a livello nazionale presentano il dato peggiore.
A farne le spese sono soprattutto le donne. E qui si inserisce l’altro tassello del mosaico: l’assenza di servizi per l’infanzia. A fornire una fotografia della situazione è stato, un paio di mesi fa, il report dell’osservatorio “Con i bambini” diffuso da Openpolis, che mette in evidenza come, nonostante i passi avanti reclamati e quelli fatti, il grosso delle attività di cura familiari e domestiche ricada ancora sul versante femminile. Con conseguenze penalizzanti dal punto di vista professionale.
Il vuoto dei servizi per l’infanzia
Un dato molto italiano, come si legge nello studio: «Nella maggior parte dei paesi dell’Unione le donne con 3 figli lavorano più di quelle italiane con un unico bambino». Ma anche un dato molto meridionale. «Il ritardo del nostro paese nel confronto europeo – è scritto ancora – è l’esito di profondi divari interni. Nel 2021 i giovani tra 25 e 34 anni lavorano nel 62,6% dei casi, quota che scende al 54% tra le donne. Mentre nell’Italia settentrionale questa percentuale si avvicina al 68%, nel mezzogiorno crolla al 34,9%».
Nel gruppo delle dodici (tutte meridionali) province più penalizzate c’è anche la nostra: sono quelle dove meno del 40% delle donne tra 35 e 44 anni lavora e in cui non si raggiungono i 20 posti nido ogni 100 bambini presenti. Cosenza, in particolare, è tra le tre in cui l’offerta di asili risulta inferiore alle altre: 8,9 posti ogni 100 residenti sotto i 3 anni, che diventano 11,1 a Cosenza città, con il 30% dei comuni del territorio che offrono servizi per l’infanzia. «Cifre – riporta ancora Openpolis – che fanno il paio con quelle sulle poche donne che lavorano in queste aree».
Sempre meno bambini
Ma questo – lo dicevamo all’inizio – è solo una faccia della medaglia. L’altra è quella di chi per non rinunciare alle legittime aspirazioni professionali rinuncia a quelle familiari. Meno bambini, dunque. Meno e sempre meno. Con l’età del primo parto che si sposta sempre più avanti – a volte in attesa di una stabilità che nemmeno arriva – e molte coppie che si fermano al primo figlio.
La conseguenza è il calo demografico al quale già si assiste: una tendenza che, come riferisce un altro report più recente dell’osservatorio “Con i bambini”, proiettata nell’arco del decennio 2020-2030 potrebbe «portare a una diminuzione dei residenti in Italia quasi del 3%. Dagli attuali 59 milioni a 57,9, secondo le stime dell’Istituto nazionale di statistica». Con una «variazione asimmetrica rispetto alle generazioni»: «Nell’Italia del 2030 potrebbero esserci 2 milioni di over-65 in più (+14,4% rispetto ai 13,8 milioni del 2020) e 1,3 milioni di under-14 in meno. I bambini e ragazzi fino a 14 anni, pari a 7,7 milioni di residenti nel 2020, potrebbero essere il 16,8% in meno nel 2030: 6,4 milioni di persone».
Entro il 2030 i residenti in Italia tra 0 e 4 anni, si sottolinea nel report, potrebbero diminuire di oltre l’8%. Un calo generalizzato che colpisce il 93% delle province italiane. Sulla cartina dello Stivale, il territorio cosentino appare tra quelli colorati di rosso, ossia caratterizzati da un «forte calo», quantificato in oltre il 10%. Nello specifico, lo scenario di previsione porta dai 26.571 bambini in questa fascia d’età registrati nel 2020 ai 22.036 del 2030: «In base alle stime, nel corso del decennio gli abitanti fino a 4 anni della provincia di Cosenza diminuiscono del -17,10%, pari a -4535 minori».
Come fermare la discesa?
Un calo inesorabile? Forse, ma non del tutto. Fatti salvi i «fattori strutturali su cui è impossibile intervenire», si legge nell’analisi di Openpolis, appare necessario «intervenire su quella parte che può essere ancora influenzata dalle politiche pubbliche. È in gioco la tenuta del sistema sociale, economico e previdenziale, in un Paese dove le coppie senza figli potrebbero aumentare del 13% tra 2020 e 2040, passando da 5,1 a 5,7 milioni. Mentre quelle con figli dovrebbero diminuire del 23% (da 8,3 a 6,4 milioni)».
Analisi che così conclude: «Scongiurare, o quanto meno mitigare, questo scenario deve essere l’assillo principale delle nostre politiche pubbliche. Agendo di conseguenza, anche nell’ambito dei servizi rivolti a bambini e ragazzi, con un approccio che incentivi le politiche sociali, educative e familiari in modo trasversale. Dall’estensione dei servizi educativi, per l’infanzia e non solo, al supporto della genitorialità».