La ballata del "nero", una storia del Msi a Cosenza
In origine fu un tradimento, più tragico e meschino dell’8 settembre. Se così si può dire. È Luigi Palmieri, già prigioniero in Russia, a presentare ricorso contro Luigi Filosa, fascista della prima ora, antifascista della seconda e fascistissimo dalla terza in poi. Fa ricorso Palmieri, perchè Filosa è stato «colluso» col Regime, direttore di “Calabria Fascista” per un breve periodo. Per il codice, dunque, ineleggibile. Fa ricorso e lo vince, il caino; tanto che Giorgio Almirante così tuona: «Da oggi, abbiamo un deputato in meno e un traditore in più».
Comincia così, con una cainata, la storia del Msi a Cosenza. Storia di reduci, come in altre parti d’Italia. Qui, però, chi ha combattuto «Per l’onore» in quell’ultimo anno e mezzo di guerra, non se la passa poi così male. Arriva il tenente Michelangelo Mercaldi quaggiù, uno che si era guadagnato la prima pagina di “Stern”, tutto impettito nella divisa delle Waffen SS. Si di lui pende una taglia partigiana perché lo accusano «di torture». Viene e pianta radici a Cosenza, dove tutti lo ricordano da galantuomo e non da torturatore. Anche Quinzio Aicardi, nella sua Imperia, ha una certa confidenza con il mitra, ma che lo usasse contro i partigiani, nessuno può dirlo. Nel suo esilio cosentino, è galantuomo ricoperto da un key-way azzurro, che lancia mollichine agli uccelli da una panchina di piazza Loreto. Lo ricordano così, a Cosenza, l’assicuratore Aicardi.
C’è pure un colonnello, non può mancare un colonnello. Riccardo Voltarelli, basco nero e sguardo fiero che, tra una boccata di pipa e l’altra insieme a Nino Tripodi, tiene aperta la federazione missina di Via XXIV maggio. Quando il Partito decide di traslocare, lui rimane lì a difendere la postazione; antesignano di scissioni future. È al fianco di queste icone che si avvicinano le giovani leve, la “maschia gioventù” bruzia, con il compito di far rivivere l’Idea, scritta a chiare lettere nell’acronimo Msi. Che per loro vuol dire: Mussolini sei immortale.

Ci sono anche le donne. Donna Iolanda Amato, ad esempio. Onnipresente ai comizi e madre di Pierino Bruno, poi sindaco f.f. quando Giacomo Mancini sarà sospeso dalla carica. E poi Jole Giugni Lattari che sarà la prima calabrese eletta in parlamento, Titti Strazzulli, Tina Spizzirri e la signora Boscarelli da Bisignano, “Emme d’oro” durante il Ventennio, altroché.
Ma quella gioventù è soprattutto maschia. Cosentini sono alcuni fra gli “Ottantotto”; ovverosia i resistenti fascisti al Sud durante l’occupazione americana. Teodoro Pastore, Arturo Scola, Emilio Perfetti. A quest’ultimo, per contrappasso, toccherà fare l’edicolante a piazza Cappello, per giunta a due passi da quella Casa Littoria, allora seminascosta dagli alberi, dove Lui parlò nel ’39.

Galantuomini questi missini di una volta. Ci sono l’ex ufficiale di cavalleria, Michele Buda e Michele Carbone, medico di guerra sulle navi ospedaliere e papà di un altro Pierino, quello dell’Accademia cosentina. E c’è Carmine Calabrese, decorato in Spagna e fascista intransigente, «uomo mite e coraggioso» a detta di tutti, sia camerati che compagni. Tra i giovani spicca Agostino Fascetti Leon, mattatore nei comizi che all’epoca si tengono in piazza Matteotti.
Sono anni tranquilli. A controllare il Pci c’è Fausto Gullo, galantuomo pure lui, quindi niente botte da orbi, ché la guerra è bella e finita. Piuttosto, ci si ritrova tutti insieme appassionatamente all’Hotel Imperiale, dove i ciondoli con il fascio si incrociano con i sorrisi di don Attilio Mancini e Cecchino Principe in un clima antipolitico.
La politica, quella si fa in consiglio comunale, dove Roberto Caruso, Ugo Verrina, Benito Falvo e Giulio Adimari muovono i primi passi. Sempre a saluto romano. In via XIV maggio c’è Voltarelli il “giapponese”, ma le sedi dell’Msi cambiano in continuazione: da via Isonzo a via Trieste, passando per via Miceli e via Montesanto.
Vito Goffredi, fratello del notaio Luigi, è il primo federale. Faceva parte del gruppo premissino, noto come “Fronte dell’Italiano”, insieme a Salvatore Pancaro, Ernesto Scrivano, Pietro Morrone e Angelo Ippolito, professore di filosofia ed ex podestà. Il legame con il vecchio fascismo è pressoché totale, nonostante lo slogan ufficiale del partito, quel «Non rinnegare e non restaurare» che alcuni attribuiscono ad Alberto Moravia, imparentato con Augusto De Marsanich, presidente nazionale dell’epoca.
Arriveranno molti anni dopo gli scontri in piazza, i boia chi molla, la destra nazionale, Gianfranco Fini. E in ultimo Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta? In via XXIV maggio c’è ancora Voltarelli, sentinella di ricordi che si piegano ma non si spezzano. L’uomo col basco fa un tiro di pipa e leva il copricapo. Poi si gratta la testa, un po’ perplesso.
