La riflessione: l'omicidio di Alika figlio di un razzismo strutturale insito nel Paese
Purtroppo, se i fatti sono andati per come descritto, l’omicidio di Alika Ogorchukwu a Civitanova Marche non deve stupire. Esso rappresenterebbe, infatti, la tragica e naturale sintesi (spero anche epilogo) di un paese come l’Italia, dove sono stati commessi più di 40 omicidi a sfondo razziale negli ultimi trent’anni, dove non si contano i sopravvissuti agli attentati suprematisti, ai pestaggi nelle carceri completamente prive di mediatori culturali o nei Centri di permanenza per il rimpatrio.
Dove si continuano a sfruttare gli immigrati nelle filiere produttive, dove i braccianti africani vengono schiavizzati sotto gli occhi di tutti nelle nostre piantagioni calabresi e dove milioni di lavoratrici domestiche operano sotto pagate nelle nostre “civili” abitazioni.
L’assassinio di Alika Ogorchukwu, da cui alcune voci oggi prendono prontamente le distanze, parrebbe dunque essere la manifestazione perfetta della cultura del potere di un uomo bianco su un uomo nero che, senza pensarci troppo, pone brutalmente fine alla sua vita dopo averlo privato della stampella, in pieno giorno ed in uno spazio pubblico, davanti a decine di altri bianchi, che invece di intervenire, filmano la scena.
L’aggressore, inoltre, non appena arrestato, avrebbe sostenuto di aver agito perché Ogorchukwu avrebbe molestato verbalmente la “sua” donna.
Salvo perciò il caso di eventuali ragioni di natura psicologica, quanto espresso dall’indagato va prontamente analizzato, perché richiama l’intimo convincimento dell’epoca schiavista (ed insito nell’opinione pubblica) secondo cui l’uomo nero é certamente aggressivo nonché sessualmente violento.
Idea quasi inconsapevole che si attiva per legittimare nel profondo l’accaduto. Se non è razzismo strutturale questo,
se non è un agire da suprematista bianco, al di là delle responsabilità penali che saranno oggetto di valutazione nelle sedi processuali, dal punto di vista criminologico non si denota altra tipologia di genesi nell’agito. Purtroppo, dunque, se di questo si tratta, le cause del razzismo strutturale sono da ricercare nella cultura del soggetto.
Ritengo, allora, che nessuno fra chi quotidianamente va predicando teorie che fomentano odio e divisioni tra i popoli, possa cavarsela con la condanna al gesto e sentirsi così assolto.
Le istituzioni, alcune forze politiche e quella parte di società civile che resta inerme a guardare quasi imbambolata di fronte alla violenza in atto, hanno insieme permesso funzionalmente che accadesse. Ecco, quindi, che grazie a questa commistione di fattori, l’omicidio di un uomo diventa il prodotto della società in cui vive e della normalità con cui si assiste alla violenza attraverso la telecamera del proprio smartphone.