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05/01/2024 ore 10.04
Societa

L'angolo del Webmastru | Sei anni fa ci lasciava Marina Ripa di Meana, chi muore ha sempre ragione

Con la dipartita tutti diventano più buoni e anche i tuoi nemici la piantano di cantarti la pampina e ti piangono in pubblico
di Redazione

di Nunzio Scalercio

Il 5 gennaio 2018 ci lasciava per sempre Marina Ripa di Meana Lante Delle Rovere (ma quanti cazzi i cugnumi tena na persuna sula spiegamillo, n’esagerazione!) Nua sfuttimo, ochei. Però di fronte alla morte dobbiamo essere onesti.

La sua dipartita sei anni fa non mi ha lasciato indifferente: ha insinuato in me un interrogativo non proprio di secondo piano: è vero che una persona quando muore viene esaltata oltre ogni umana ragionevolezza? Guagliù, non facciamo i soliti futili da social: facciamo il punto, ok?

Diciamoci la verità: quando sei morto non fai male più a nessuno. Quindi sei accettato. Non nuoci più. Anche i tuoi nemici dissotterrano l’ascia di  guerra. Se proprio non gli hai ammazzato a mamma o chiavato la moglie, anche i tuoi dichiarati antagonisti sono disposti a cambiare quell’opinione negativa che avevano di te. In fondo, eri una brava persona pure tu, parliamoci chiaro.

Così, ti  trovi in quella spiacevole condizione di “leggermente” morto a leggere dal paradiso (o da chissà quale iperuranio) dichiarazioni al miele da gente che fino a ieri l’altro ti minava i malamorte tra capu e nuc’i cuaddru come se tu fossi la più grande piaga dell’umanità. Na merda, nu pisciaturu, una cacca antropomorfa.

E invece, come per miracolo, per grazia ricevuta grazie alla morte (che più di una volta hai sentito pubblicizzare come una sorta di rinascita) sei rivalutata. Sei brava, sei ottima, sei un esempio troppe volte sottovalutato.

Gente che fino a ieri avrebbe fatto  a gara a chi ti sputava di più e meglio, una volta trapassata gareggia con l’universo mondo a chi ti piange di più. Da quel momento tu rappresenti la pagina bianca. Non danneggi. Quindi sei platonicamente amica. Tu Marina Ripa di Meana Lante delle Rovere assurgi a emblema dell’unione tra i popoli, all’affratellamento, alla pace in terram dovuta alla consapevolezza, post tua mortem, che siamo tutti uguali.

Il giorno prima sei il massimo dell’anticonformismo, il giorno dopo, celebre o assolutamente ignorato da ogni microcellula, un minchionissimo cibo per vermi. Come tutti, come ognuno, come ogni fissa. Sei il simbolo fatto cadavere dell’umanità. Sei tutti noi, ma leggermente cchiù fridda.

La gente il giorno prima ti criticava, anche se più di ogni altro guerriero da tastiera avevi fatto le tue battaglie (ecologiste, umanitarie, pantesistiche). In fondo un film dei Vanzina con Carol Alt annacquava più di ogni altra cosa un libro (i miei primi quarant’anni) in cui tra i vari pirloni c’erano pure Laurence Oliver e Franco Piperno. 

Marina, scusa se ho approfittato dell’anniversario della tua leggera dipartita, ma tutto sto papiello mi serve per dire che quando muori, anche se in vita t’hanno pigliato pi ciota, quando termina l’ultimo giro d’orologio recuperi terreno e i titoli dei giornali che contano non registrano più termini come “pazza” ma si adeguano alla solennità del momento e ti descrivono come “leonessa” e  donna “impegnata nel sociale”. Non è ipocrisia: è un aspetto peculiare dell’umanità.

A me sei sempre stata simpatica, giuro, ma devo confessarti che più di una volta mi sei sembrata esageratamente sopra le righe. Ma in fondo sei simbolicamente lo specchio di tutti noi: fissa in vita, esempio da morta. Inutile e nociva respirante, pregna d’insegnamenti mai recepiti a pneuma spento. Per cui, augurarti il meglio è poca cosa: dovrei farti una statua per tutto quello che rappresenti. Hai vissuto più di tanti falsi vivi. Anche da morta respiri più di noi.

E più di altri scolpisci nel nostro immaginario comune una verità (forse sterile, forse banale, ma poco importa) che ci anticipa quello che succederà a noi tutti una volta salutati amici e questo amaro mondo: che chi muore ha sempre ragione. Ti stimo, amica mia.